La Massoneria, scuola di vita
Tolleranza e solidarietà
Per quanto attiene al campo temporale della nostra indagine, va
detto che, pur accondiscendendo alla moda di questi ultimi anni di
rapportare ogni previsione al terzo millennio, è chiaro che nessuno in
nessun campo è dotato di capacità divinatorie tali da coprire un così lungo
lasso di tempo. È già impossibile fare previsioni per il prossimo secolo.
Parlando di terzo millennio intendo riferirmi ad alcuni decenni del nuovo
secolo. Per quanto riguarda infine le finalità di queste considerazioni, è
chiaro che non pretendo di dare definizioni della solidarietà e soprattutto
della tolleranza esaustive sia dal punto di vista storico-politico sia dal
punto di vista filosofico.
BRUNELLO PALMA (Revista massonica svizzera marzo 2004)
Prima di addentrarmi nella ricerca del significato e della portata che i
valori della tolleranza e della solidarietà possono aver assunto nella
società moderna e potranno assumere in quella dell’immediato futuro, ritengo
necessario premettere alcune considerazioni finalizzate all’individuazione
del metodo da seguire, alla delimitazione del campo d’indagine e
all’indicazione delle finalità di quest’ultima.
Innanzi tutto va rilevato che la tolleranza e la solidarietà sono valori
che, insieme al trinomio della libertà, della fratellanza e
dell’uguaglianza, hanno determinato la nascita e tuttora giustificano
l’esistenza della nostra istituzione, la Massoneria. Ogni comunione di
individui nasce e si organizza intorno a dei valori, credenze o miti che poi
si traducono in principi fondamentali e finalità della struttura sociale,
dell’ente esponenziale o dell’istituzione che dalla comunione sia scaturita.
La realizzazione di dette finalità, o anche il solo tentativo di
realizzarle, comporta necessariamente la modificazione della realtà
politica, della realtà economica o della realtà culturale, a seconda di
quale sia il sottosistema sociale in cui la comunione opera. Il sottosistema
a sua volta determina variazioni negli altri sottosistemi, così da produrre
cambiamenti nell’intero sistema sociale. Se mi è permessa un’espressione
figurata direi che, gettato nel lato di uno stagno il sasso della
solidarietà e della tolleranza, esso provoca una serie di onde concentriche
che investono gli altri lati fino all’intero stagno. Il mutamento sociale
così intervenuto non è, però, soltanto variabile determinata o passiva;
interagendo con i valori suddetti, diviene a sua volta variabile
determinante e provoca perciò un mutamento evolutivo di detti valori. Ciò
che voglio significare è che se la solidarietà e la tolleranza, unitamente
ai valori dell’uguaglianza e della libertà, hanno determinato un’evoluzione
nel sottosistema politico, con il passaggio dallo Stato assoluto allo Stato
di diritto prima e allo Stato sociale poi, questo ha prodotto variazioni nel
sottosistema economico e in quello socio-culturale, e tutti insieme hanno
fatto evolvere lo stesso concetto di solidarietà e tolleranza.
Paventando il pericolo di un’involuzione della nostra istituzione ed
auspicando la riassunzione da parte della Massoneria di una funzione
propositiva nella società moderna, mi sembra necessario riprendere ed
approfondire la riflessione sui valori che sono sempre stati a fondamento
della nostra istituzione, per poterli attualizzare e riproporre al mondo
profano senza uscire dal solco della tradizione esoterica. Se vogliamo
indicare alla società una prospettiva etica, politica e culturale incentrata
sui valori della solidarietà e della tolleranza, è proprio dallo studio di
essi e dalla loro collocazione nel contesto socio-politico del XVIII secolo
che dobbiamo prendere le mosse, per poterne cogliere il valore
rivoluzionario che avevano allora così da non temere di attribuire loro
significato e portata fortemente innovativi nella società moderna.
Convivenza civile, morale e sociale
Non è un caso che la Massoneria da operativa sia divenuta speculativa
proprio in Inghilterra, dove da oltre un secolo era iniziata la Rivoluzione
industriale con effetti positivi sul piano della produzione del reddito e
negativi sul piano della sua distribuzione; dove l’esteso inurbamento e i
massacranti orari di lavoro avevano prodotto il moltiplicarsi delle malattie
infettive e degli incidenti sul lavoro; dove la frantumazione in atto della
famiglia patriarcale, in tanti piccoli ed agili nuclei familiari capaci di
muoversi sul territorio alla ricerca del lavoro, aveva lasciato senza alcuna
protezione gli handicappati, gli infortunati sul lavoro, gli anziani, le
vedove e gli orfani. In questo contesto socio-economico nasce l’esigenza di
solidarietà che da un iniziale carattere volontaristico, sia pure dopo
alcuni decenni, troverà la sua consacrazione in una legislazione
assistenziale e previdenziale, fino a sfociare, in tempi a noi più vicini,
nello Stato sociale. L’Inghilterra dell’epoca, però, presentava anche altre
peculiarità. Essa fin dai tempi di Enrico VIII era stata travagliata da
sanguinose lotte interne che intrecciavano motivazioni politiche e
motivazioni religiose. La monarchia non era riuscita a divenire assoluta e,
grazie all’opposizione del Parlamento e della borghesia capeggiati da
Cromwell, non era riuscita neppure ad omologare la società in pochi ceti
sociali e, quindi, ad abolire le corporazioni medievali con i loro diritti e
privilegi. Anzi, i contrasti fra Giacomo II, il cattolico, e il Parlamento
erano sfociati in una vera e propria rivoluzione costituzionale con
l’emanazione dell’Habeas Corpus (1679) e, con Guglielmo d’Orange, del Bill
of Rights (1689) che garantivano contro gli arbitrii del re i diritti del
popolo inglese. In questo contesto politico- istituzionale e sullo sfondo di
ormai secolari guerre di religione, filosofi come Spinoza, Locke e più tardi
Voltaire riprendono l’elaborazione del concetto di tolleranza la cui
indispensabilità al vivere civile era apparsa fin dai tempi della Riforma. È
difficile, in questa sede, riassumere in poche righe oltre due secoli di
elaborazione concettuale della tolleranza. In estrema sintesi si può
tuttavia evidenziare come essa, almeno in Spinoza e Locke, veniva riferita
esclusivamente alla possibilità di convivenza di credenze religiose diverse.
La motivazione addotta per sostenere la necessarietà della tolleranza poneva
come premessa che il credere fosse una questione di coscienza individuale ed
ogni tentativo di imposizione di credenze religiose cosiddette ortodosse non
poteva che essere irrazionale e sfociare in tumulti e disordini sociali. La
tolleranza, perciò, diviene principio di convivenza civile; essa trova il
suo fondamento in ragioni di prudenza e di opportunità politica. È però vero
che limitare l’opportunità e il significato della tolleranza alla finalità
dell’ordine pubblico e della pace sociale non evidenzia i motivi morali
dell’esclusione dell’ intolleranza. Anzi talvolta quest’ultima può essere
essa stessa strumento efficace per il mantenimento della pace sociale. Basti
pensare alle molte ed «ordinate» dittature politiche presenti ancora oggi in
molti Paesi. Locke, avvertendo l’insufficienza di un simile fondamento della
tolleranza, ne rafforzava le argomentazioni con considerazioni di
razionalità e di correttezza morale. Addirittura, quando gli Ugonotti
francesi fuggivano in Inghilterra per sfuggire alle persecuzioni da parte
dei Cattolici e si imbattevano in atteggiamenti xenofobi degli Inglesi, egli
cercava di dimostrare la convenienza economica ad accoglierli, in vista di
una successiva integrazione. Gettava così le basi dell’istituto giuridico
della naturalizzazione. Ancora oggi, molti nel nostro Paese non riescono a
trovare motivazioni più elevate della convenienza economica per giustificare
la necessità della tolleranza nei confronti degli immigrati
extra-comunitari. Anche le religioni molte volte parlano di tolleranza. Esse
però la predicano come mezzo di sopportazione dell’errore altrui e,
soprattutto, come metodo non violento per giungere alla vittoria finale
della loro «verità». Per i Massoni, invece, che ne derivano il concetto da
Voltaire, la tolleranza non è un astuto strumento dialettico per ottenere il
prevalere della loro verità. Essa è un principio fondamentale della
convivenza civile che deriva la sua necessarietà dall’essere noi «esseri
umani», e perciò fragili e fallibili. Il confronto con gli altri ispirato
alla tolleranza non può che aiutarci a correggere i nostri errori e, quindi,
ad avvicinarci alla verità. Ecco cosa significa che il principio di
razionalità è a fondamento del pensiero massonico. I Massoni infatti
rifiutano l’ateismo e lo stesso scetticismo. Essi sanno che esiste un
Supremo Architetto dell’Universo, che esiste una Suprema Luce cui aspirano,
ma operano alla sua ricerca nella consapevolezza della propria fallibilità,
che può correggersi soltanto con l’uso razionale del confronto. La
tolleranza per i Massoni non significa, quindi, soltanto permettere agli
altri la professione della loro fede o delle loro idee politiche, non si
riduce cioè ad un quieto «vivi e lascia vivere». L’accettazione del
confronto fra le opposte verità muove dal presupposto che l’interlocutore
possa avere ragione e che la sua verità possa aiutare il Massone a
correggere i suoi errori e a migliorare se stesso. Questo concetto di
tolleranza fa ormai parte del patrimonio culturale ed ideale di quasi tutti
i popoli; trasferito dalla sfera morale a quella politica è altresì divenuto
principio ispiratore dell’organizzazione sociale e fonte primigenia di tutti
i diritti di libertà. Permettere infatti a taluno di professare e divulgare
la propria fede religiosa significa riconoscergli il diritto di libertà
religiosa, come l’adozione del dialogo quale strumento non violento di
confronto significa l’adozione del metodo democratico e il rifiuto della
forza e della violenza.
Esplosione demografica e equità
Certo la società odierna non è più quella della rifondazione speculativa
della Massoneria. Da una società appena avviata sulla via
dell’industrializzazione ci troviamo oggi a vivere in una società definita
post-industriale. Lo sviluppo economico, che tante trasformazioni positive
ha prodotto sulla qualità della vita, oggi rivela i suoi limiti; produce
benessere da una parte, fino a sfociare nel consumismo più sfrenato, e
milioni di disoccupati dall’altra; sempre più spesso si accompagna a gravi
disastri ecologici; l’inurbamento selvaggio che lo segue produce una vita
sociale degradata e violenta; il divario fra paesi ricchi e paesi poveri
diviene sempre più ampio; l’egoismo da individuale diviene collettivo e si
trasforma in una sorta di egotismo nazionale. La globalizzazione
dell’economia e della comunicazione rende ancora più stridente la sperequata
distribuzione della ricchezza. Accanto agli anziani, agli handicappati, ai
diversi, ai giovani disoccupati che, sempre più numerosi, lottano contro la
solitudine e l’emarginazione, nuove masse di individui, nel tentativo di
sfuggire ad una morte certa per fame, busseranno alla porta delle società
sviluppate. Non si tratterà più di praticare una solidarietà finalizzata ad
un’uguaglianza minimale nell’ambito di una società sostanzialmente omologa,
costituita cioè da individui della stessa etnia, della stessa religione,
della stessa lingua, insomma della stessa cultura. L’uguaglianza, la
solidarietà e la tolleranza dovranno assumere una dimensione universale e
significati molto più estesi. La popolazione mondiale che aveva impiegato
decine di migliaia di anni per raggiungere alla fine del XVIII secolo il
miliardo di individui, ne conta oggi, dopo appena due secoli, sei miliardi e
raggiungerà entro il 2030 i dodici miliardi di individui. D’altra parte,
secondo molti scienziati il globo terrestre costituisce ormai un «quantum»
finito di risorse che potrà permettere un livello di vita uguale a quello
dei paesi più progrediti a non più di due miliardi di persone. L’uguaglianza
e la solidarietà non potranno più significare il semplice soccorrere il
nostro vicino di casa indigente, o il recupero dei gruppi di individui che
il sistema sociale e produttivo tende ad emarginare; e neanche sarà
sufficiente allargare la portata del soccorso fino a comprendervi i popoli
del terzo mondo. Se è vero, infatti, che il globo terrestre ha una capacità
di supportare un benessere quale il nostro per un numero limitato di
persone, se è vero che la stragrande maggioranza delle risorse disponibili
sono oggi fruite soltanto dai paesi più sviluppati e se è vero, infine, che
l’inquinamento ecologico è imputabile quasi esclusivamente ai paesi ricchi,
sarà necessario, se vorremo essere veramente solidali con l’umanità
emarginata, non solo rinunciare a gran parte dei nostri consumi, ma
concepire un modello di sviluppo in termini planetari più giusto e più equo.
Credo che sia incontrovertibile il fatto che la nostra società sarà in
futuro multietnica. E se la solidarietà nei confronti degli anziani, dei
disoccupati, degli emarginati e dei diversi appartenenti alla nostra cultura
risponde ad un’esigenza morale, la limitazione del nostro benessere
finalizzata alla correzione degli svantaggi sociali, della povertà, della
disperazione degli immigrati e del terzo mondo diventa essenziale per la
sopravvivenza stessa della nostra società. Anche il concetto di tolleranza
dovrà essere rivisitato e quindi rapportato all’evoluzione del mondo
moderno. Esso infatti, come più sopra abbiamo visto, si concretizzava in un
«non facere». L’essenza della tolleranza, almeno in origine, risiedeva
nell’astenersi dall’impedire che taluno manifestasse la propria fede
religiosa e la propagandasse. La prima sfera di autonomia riconosciuta ai
cittadini nei confronti dello Stato riguardava perciò la sfera spirituale.
Ben presto però, come abbiamo accennato, tale sfera si è allargata ad altre
manifestazioni della personalità umana, comportando il riconoscimento di
altre forme di libertà quali quelle di manifestazione del pensiero, di
associazione, di riunione, di circolazione, ecc. La caratteristica di tutti
questi diritti di libertà è quella di connotarsi come libertà negative, cioè
come libertà il cui nucleo essenziale consiste nel porre allo Stato il
divieto di impedire un comportamento il cui verificarsi è rimesso soltanto
alla volontà del suo titolare. Già con l’industrializzazione e l’affacciarsi
sul proscenio economico e politico di un nuovo ceto sociale nascono nuove
domande di libertà, le cosiddette libertà positive, quali il diritto
all’istruzione, il diritto alla salute, il diritto allo sviluppo della
propria personalità, il diritto al lavoro che impongono allo Stato un
«facere», gli impongono cioè di predisporre gli strumenti perché il diritto
possa essere effettivo.
Scuola di vita multietnica
Nel terzo millennio, come abbiamo detto, la nostra sarà una società
multietnica; sarà cioè una società nel cui ambito convivranno gruppi sociali
coesi su valori fondamentali sostanzialmente diversi. Ciò significherà
atteggiamenti diversi, comportamenti diversi, abitudini diverse; insomma
culture diverse. Perché ciò non sfoci in lotte feroci e drammatiche, come
avviene tuttora nella Jugoslavia post-comunista, in Algeria, in Afghanistan,
è necessario non solo che ciascuna possa vivere nel rispetto dei propri
valori e delle proprie tradizioni, ma che operi fattivamente per la
realizzazione di interessi comuni. I diritti di libertà e, soprattutto, i
diritti sociali, che vanno ogni giorno di più moltiplicando il loro numero
ed ampliando il loro significato e la loro portata, dovranno essere
riconosciuti non solo ai cittadini, ma, come avviene oggi per alcuni di
essi, a tutti gli uomini. La loro previsione in una Carta Costituzionale,
che li consacra ed assegna loro il compito di determinare i tratti
fisionomici dell’ordinamento politico-istituzionale, non è però sufficiente
a garantirne la realizzazione. Essi esigono un impegno quotidiano non solo e
non tanto da parte delle istituzioni, ma anche e soprattutto da parte degli
uomini più attenti agli ideali della giustizia sostanziale. E in questo noi
Massoni, che pretendiamo di migliorare noi stessi soprattutto per concorrere
al miglioramento dell’intera umanità, non possiamo essere secondi a nessuno.
Se i Massoni una volta dovevano fare appello alla razionalità per accettare
la convivenza di ideologie politiche o di fedi religiose diverse, oggi noi
dobbiamo ricorrere alla stessa razionalità per dimostrare, come dice Bobbio,
che certe insofferenze verso altri gruppi etnici, verso gli irregolari, gli
anormali, i diversi, derivano da pregiudizi inveterati, da forme
irrazionali, puramente emotive, di giudicare gli uomini. La tolleranza
allora da atteggiamento passivo di «non facere» dovrà trasformarsi in
tolleranza attiva, partecipativa che, accanto al superamento di ogni
steccato ideologico, morale o religioso, diventi quella SCUOLA DI VITA
MASSONICA che ci insegna a vivere non solo fianco a fianco, ma «insieme »
agli altri. Insomma, nel cosiddetto villaggio globale, cioè in un mondo che
i sistemi di comunicazione e di trasporto rendono sempre più piccolo, la
tolleranza intesa come crescita autonoma e separata diviene insufficiente.
Dobbiamo invece, come dice E. Laszlo, dilatare la nostra sensibilità e la
nostra consapevolezza da una dimensione individualistica ed egocentrica ad
una dimensione universalmente umana, per conseguire una più ampia e profonda
maturità emotiva che ci permetta di percepire i percorsi necessari per il
bene dell’umanità e consenta quindi alla Massoneria di riassumere un ruolo
propulsivo nella società moderna.
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