In Occidente è difficile comprendere che il silenzio talvolta è più
eloquente delle parole.
Il silenzio
Nella nostra epoca così disordinata e stressante, ove non è raro
essere investiti da idee e principi contrastanti, ove pure la vita
professionale incalza con innovazioni feroci e incessanti richieste di
redditività e neppure la religione riesce a erigersi a baluardo di valori e
principi sicuri, l’uomo moderno si sente smarrito, confuso.
Floriano Pellanda, Loggia Veritas, Locarno (Revista massonica svizzera
ottobre 2007)
Conduciamo tutti una vita impegnata, talvolta pure movimentata. La nostra
vita è sovente rumorosa e spesso, dopo una giornata trascorsa nel caos
frenetico e nel frastuono assordante di rumori provocati dalla stessa
attività umana delle nostre città, si aggiungono delle voci umane talvolta
pure assordanti, che reclamano tutte, a gran voce, il loro diritto
all’esistenza; sono spesso voci dettate da esigenze primordiali,
strettamente legate alla loro natura «umana»: sono esigenze di cibo, di
spazio, di comunicazione, d’affetto, d’amicizia. A questo scenario si
aggiungono, in maniera prepotente e aggressiva, imponenti e pressanti
appelli. Sono grida, talvolta urli laceranti, disseminati disordinatamente
nel caotico mondo di messaggi e delle comunicazioni (telefoni, cellulari,
fax, posta elettronica, televisione ecc.), che reclamano dei bisogni e delle
necessità sociali pressanti ed essenziali. Sono queste delle necessità
organizzative che il mondo moderno si è voluto creare per bisogni sociali,
politici, educativi, commerciali, amministrativi. Sono delle leggi e delle
imposizioni con il loro carico di sanzioni, interpellanze, giustificazioni,
incoerenze, ingiustizie: gridi e appelli laceranti di chi impone ordinanze e
decreti e di chi giustifica applicazioni e interpretazioni discordanti.
Culturalmente siamo sempre in movimento, un movimento frenetico, incessante.
Difficilmente si trova un posto tranquillo dove ci si possa, per un periodo
anche breve, distendere in silenzio, passare il proprio tempo ad estrarre
dal profondo della nostra coscienza le risposte alle domande che ci
assillano insistentemente.
Si avverte così impellente il bisogno di rallentare la corsa, di
riprendere il respiro. Ma molto spesso ci lasciamo inghiottire dalle
necessità impellenti e continuiamo a correre, senza sosta, e non troviamo
più il modo di fermarci. Un rimedio esiste: la pratica del silenzio.
L’«essere interiore»
Come provocare la condizione ideale per penetrare nel regno dell’ «essere
interiore»? Ieri ancora, la pratica del silenzio poteva essere semplice.
Bastava seguire un appropriato percorso tradizionale e mantenersi su quella
via (eremitaggio, ordine religioso ecc.). Ma oggi le esigenze del silenzio
sono diventate molto più sottili e raffinate. L’uomo moderno avverte
prepotentemente la necessità di comunicare con l’universo intero; di
incontrarsi e comunicare con i suoi simili e condividere con loro conoscenze
e valori. Incapace di sopportare le divisioni, i confronti e le divergenze,
l’uomo moderno aspira ad una forte unione di consensi che possa conglobare
tante differenze. E non esiste nessun’altra strada percorribile, che possa
riuscire in quest’intento, se non la pratica del silenzio, nella scoperta
costante «dell’essere interiore». Grazie alla pratica del silenzio l’uomo
sarà dunque chiamato a sbarazzarsi dei suoi metalli; le sue false credenze,
le sue superstizioni, la sua arroganza , il suo pseudo-sapere, il suo
orgoglio. Tutto deve essere rivisto, purificato. Scegliere e seguire questa
strada significa soprattutto subirne una fatale attrazione, riuscendo nel
contempo a liberarsi da concetti e nozioni false o distorte, ricevute ed
assimilate durante la nostra adolescenza e giovinezza. Quest’atteggiamento
sopraggiunge soltanto dopo aver raggiunto un ulteriore distacco da tutto ciò
che infastidisce e soffoca la silenziosa ricerca dell’«essere interiore». Le
tradizioni e le religioni saranno gradatamente epurate dai diversi
rivestimenti imputabili alla storia; e diventeranno più intense e vive. Il
silenzio crea dunque le condizioni per iniziare un lungo cammino per
penetrare nell’«essere interiore», là dove spunta la scintilla divina. Là
dove nasce l’uomo nuovo. Misterioso questo «essere interiore»; esso
simboleggia uno stato d’animo piuttosto che un posto determinato. Il
silenzio, processo indispensabile per averne accesso, inaugura un passaggio
dal di fuori al di dentro, dal caos all’ordine, dalla schiavitù alla
libertà. Il silenzio non può essere intrapreso ed attuato che da coloro che
consentono un distacco supremo e totale da se stessi. Solo l’uomo privo di
bagagli che gli infastidiscono le mani, privo di preconcetti e idee che
oscurano la sua ragione, può sperare di raggiungere questo distacco. La
caratteristica fondamentale del silenzio è dunque la sua eccezionalità nel
riuscire ad innescare nell’individuo che lo applica un processo evolutivo di
tale intensità da modificare atteggiamenti e abitudini, ma pure valori e
obiettivi di vita. Basta evocare qualche esempio per comprendere
l’importanza di un tema che ha tanto interessato uomini assetati d’Assoluto
di qualsiasi epoca e delle più diverse civiltà e tradizioni; uomini che
hanno riscontrato tramite il silenzio un’esperienza sconvolgente. Sarà
infatti nel silenzio assoluto del deserto che Mosé poté conversare con Dio
e, sempre grazie al silenzio, vivere l’esperienza interiore di una
separazione dal mondo, di un ritiro dalla società, di una rinuncia alle
diverse attività. Diversi personaggi biblici hanno vissuto profondamente
simili momenti di grande misticismo. Ovunque nella Bibbia il silenzio del
deserto risuona! Nella nostra epoca così disordinata e stressante, ove non è
raro essere investiti da idee e principi contrastanti, ove pure la vita
professionale incalza con innovazioni feroci e incessante richieste di
redditività e dove neppure la religione riesce a erigersi a baluardo di
valori e principi sicuri, non è difficile per l’uomo moderno sentirsi
smarrito, confuso. Quando l’individuo é animato da un forte disordine
interiore tutto si trasfigura, vacilla, idee e principi si dissestano e
lasciano la mente disorientata, arida, incapace di gestire ragionevolmente
l’operato dell’uomo. Ciò significa che l’individuo ha perso o allentato quei
rapporti segreti che manteneva stretto con il suo «essere interiore ». Oggi
tuttavia silenzio non significa rompere, né un allontanarsi definitivamente
dal mondo esterno per rifugiarsi,magari anche egoisticamente, nel nostro
mondo interiore. Il silenzio non è fine a se stesso, non vuole essere uno
scopo ultimo; esso deve procurare una libertà più grande per
arrivare a scoprire le essenzialità e le priorità della nostra vita. Il
silenzio infatti modifica l’uomo, lo scolpisce e lo colora, conferendogli il
senso della sua origine.
Il silenzio della meditazione
Non si può dire con certezza cos’è il silenzio. Non è niente di
percettibile. Non agisce nel campo dell’energia, del movimento, ma
rappresenta un non-stato al di là di tutti gli stati. Il silenzio nella
meditazione è comunque la sorgente del movimento e del senza movimento.
Essere nel silenzio meditativo crea una nuova maniera di vivere d’istante in
istante; un modo di vita che non può essere diviso in momenti. Nella
diversità della vita di tutti i giorni, lo sfondo resta sempre lo stesso e
tutte le attività sono le espressioni spontanee di questo sfondo. Si cerca
una sicurezza nella ripetizione e in uno schema di comportamento ormai
acquisito. Nel silenzio della meditazione la vita scorre senza nessun
riferimento ad un ego, ad uno sfondo predisposto; sovente è considerato come
un abbandono di ogni attività. Purtroppo noi ci conosciamo unicamente
nell’azione, che nasconde e tende a emarginare la tranquillità. Il silenzio
ci permette talvolta di sottrarci dall’agitazione confusa dell’azione e
ridarci armonia e tranquillità. Un’improvvisa sensazione di complicità e di
totale integrazione può allora apparire: ma sono attimi fuggenti, sono
sensazioni brevissime; è forse questo uno squarcio della nostra antica
felicità? «Ce qu’il importe d’apprendre est d’une autre manière que par des
mots.» Quando nel Nuovo Testamento Gesù tace, comunica qualcosa di più
profondo e con un contenuto più vasto e più pertinente di quanto possono
dire le parole. Rimproverato per essere stato silenzioso davanti a delle
persone che l’hanno voluto provocare, dirà infatti: «Se non è stato toccato
dal mio silenzio, non lo sarebbe stato certamente neanche dalle mie parole.»
Questo silenzio è certamente più orientale che occidentale. Lo si riscontra
pure sovente tra i saggi indiani. In Occidente è difficile comprendere che
il silenzio talvolta è più eloquente delle parole; infatti quest’ultime
possono, se mal interpretate, tradurre malamente o comunque in maniera
imperfetta, la profondità di un pensiero. Si innesca così un altro
linguaggio che presuppone un’attenta e scrupolosa ricerca di segnali e
connotazioni, tali da rendere possibile una lettura interpretativa del
silenzio. Il silenzio ha dunque il merito e il vantaggio di offrire le
condizioni favorevoli ed essenziali alla scoperta dell’essere interiore. Nel
silenzio l’uomo é invitato a riconsiderare la propria memoria e il proprio
cuore ripulendoli da ogni sapere concettuale. Questa purificazione lo
condurrà a poter accettare liberamente una serie di rinunce. Dopo di che
potrà abbandonarsi all’ascolto della parola interiore e scoprire così
l’«essere interiore». L’allontanamento del tumulto esteriore, o meglio detto
la non-collaborazione a questa agitazione collettiva, aiuterà l’uomo a
raggiungere la tranquillità necessaria per assumere il proprio compito.
Schiavo delle sue passioni, dei suoi desideri, l’uomo, grazie al silenzio
della meditazione diventerà un uomo veramente libero.
Il Tempio dell’Amore
Grazie al silenzio della meditazione lentamente l’uomo vecchio che
abitava in noi si trasforma a tappe progressive; ogni tappa è un mattone che
vuole contribuire alla costruzione ideale del Tempio Interiore. Non bisogna
tuttavia lasciarsi prendere né dall’impazienza né dalla precipitazione. Ad
ogni traguardo raggiunto, l’uomo nuovo porterà appresso, scolpito nelle sua
memoria profonda, i contenuti essenziali della sua spiritualità. Il tutto
poi si affina, si ricompone, si amalgama, da diventare un’unica, continua
ricerca armoniosa. Questi stadi, queste tappe, non sono altro che le diverse
operazioni di purificazione che riportano l’uomo al suo primitivo splendore
interiore. Dopo aver superato tutte le tappe richieste, l’uomo nuovo potrà
finalmente raggiungere la scintilla divina che abita in ogni essere umano,
avvertita come presenza misteriosa e nascosta. Questa presenza apparirà
inizialmente come estranea, esteriore alla propria persona; ben presto si
rivelerà però come realtà individuale, il proprio «essere interiore». Lo
spirito divino abita nell’uomo, si stabilisce nell’uomo; l’essenziale è
scoprirlo. Questa scoperta è raggiungibile soltanto con un metodo:
l’individuale silenzio della meditazione. Certamente l’uomo nuovo potrà
essere aiutato da Maestri il cui insegnamento sarà certamente d’ordine
universale perché sconfina oltre le tradizioni e le religioni; è infatti
normale che l’uomo nuovo si sviluppi grazie all’apporto di diverse culture e
tradizioni. La pluralità degli insegnamenti ricevuti non potrà che
illuminare maggiormente uno spirito attento e disponibile. Notiamo che il
cristianesimo primitivo, nel silenzio operativo della meditazione ha saputo
approfittare del pensiero giudeo e greco, senza pertanto dissociarsi dalla
sua impronta iniziale. Il silenzio della meditazione consiste dunque in un
inarrestabile esercizio di purificazione che conduce verso una perpetua
interiorizzazione; questa ultima infine porta alla scoperta del proprio
«essere interiore». Più l’uomo riesce a penetrare nel suo «essere
interiore», più grande e autentica diventa la sua disponibilità verso gli
altri; diventa così capace di amare.
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