Tema
I Tarocchi in chiave massonica
La vera comprensione dei Tarocchi apre
l’essere umano alla conoscenza di sé.
Più che ad un comune mazzo di carte
da gioco, ci si trova di fronte ad un libro
aperto sull’uomo, sulla natura e sul
cosmo e dunque, ad una porta per
entrare in una dimensione altra, in cui
il disordine della mondanità progressivamente
svanisce e nel silenzio si riesce
a percepire l’influenza del Divino. Un
libro, per la cui lettura, però, è necessario
un approccio diverso dalla mentalità
dogmatica, figlia di quel relativismo
scientifico che analizza e schematizza.
Alberto Samonà, membro del GOI (Revista massonica svizzera
aprile 2010)
Le formule del cosiddetto pensiero
positivo non bastano a comprendere
l’oggettivo significato dei simboli, che
può essere percepito soltanto da chi vi si
accosti, aprendosi ad essi mediante la
legge dell’analogia e con la libertàdi quel
pensiero creativo e sintetico che stimola
l’intuizione del ricercatore. La comprensione
rivelatrice è lapossibilità attraverso
cui le porte dei Tarocchi si dischiudono a
colui che, povero in spirito, non formula
giudizi, mentre si serrano, al contrario,
per i curiosi, intrisi di profane certezze. Il
carattere distintivo del grande libro della
natura è, infatti, la libertà. I Tarocchi sono
costituiti da 78 carte: le prime 22 sono
gli Arcani maggiori, contraddistinti da
numeri e lettere, oltre che da variopinte
figure; fra queste, c’è una carta non contraddistinta
da alcun numero, e raffigura
il Matto. Essa può essere estrapolata dai
primi 21 arcani maggiori e considerata,
per la sua peculiarità, come un elemento
di giunzione: unisce, infatti, i primi 21
simboli alle successive 56 carte, denominate
Arcani minori, e divisibili, a loro
volta, in quattro mazzi da 14 carte ciascuno,
distinti in denari, bastoni, spade e
coppe, ovvero quadri, fiori, picche e cuori.
Secondo questa suddivisione, poi, adogni
seme viene analogicamente accostato
ciascuno dei quattro elementi: terra
(denari, quadri), acqua (coppe, cuori), aria
(spade, picche) e fuoco (bastoni, fiori). I
21 Arcani maggiori (senza il Matto), a
loro volta, possono essere distinti in tre
gruppi da 7, in modo da formare i tre lati
di un triangolo equilatero; i 56 Arcani
minori, suddivisi nei quattro mazzi di 14
carte, compongono i 4 lati di un quadrato
circoscritto al triangolo, mentre il Matto
è un punto centrale, equidistante dalle
due figure geometriche. Il triangolo
(arcani maggiori) rappresenta la dimensione
spirituale e cioè, Dio; il quadrato
(Arcani minori), la realtà materiale,
dominata dai quattro elementi, mentre il
punto centrale, il Matto, è l’uomo, perno
di giunzione fra il divino e ilmondo manifesto:
egli si pone al centro di una mistica
croce che unisce la realtà fenomenica
(asse orizzontale) a quella dei noumeni
(asse verticale). Il Sacro Nome di Dio,
nella tradizione ebraica, è indicato dalle
quattro lettere Iod, He, Vau, He: la lettera
Iod è associata al Padre (elemento fuoco,
bastoni), He alla madre (acqua, coppe),
Vau al Figlio (aria, spade) e He (terra,
denaro) è il prodotto di questa mistica
unione, che genera la santa trinità. Da
questi brevi cenni, si comprende
come il Libro dei Tarocchi possa
essere considerato una sorta di
enciclopedia delle scienze
sacre. Nelle carte degli Arcani
maggiori può, infatti, trovare
riscontro la sapienza ermeticoalchemica
e quella ebraicocabalistica,
ma anche l’astrologia
e la magia cerimoniale, così
come la psicologia sacra, compresa
così bene dai custodi degli
antichi misteri ed oggi pressoché
dimenticata; in esse è indicata
la stessa via del Libero-
Muratore, il cui scopo è di
costruire il proprio Tempio interiore
mediante un cammino iniziatico
attraverso cui, gradualmente,
si aprono le porte della
Verità. I simboli espressi dai
Tarocchi indicano, dunque, al
ricercatore molteplici percorsi
per l’ottenimento dell’unico
risultato: la palingenesi e dunque, quel
cambiamento ontologico del proprio
stato, vero scopo di tutte le Iniziazioni, di
tutte le scuole esoteriche e del sapere
occulto delle stesse religioni. Non è un
caso che uno studioso di vasta competenza
come Piotr Demianovitch Ouspensky
abbia definito i Tarocchi come un
libro di contenuto filosofico e psicologico,
una sorta di sinossi delle scienze
ermetiche in cui la cabala, l’alchimia,
l’astrologia e la magia sono sistemi simbolici paralleli di psicologia e metafisica.
Essi rappresentano, sotto forma di complessi
simboli, un grande sistema psicologico,
in grado di studiare il mondo dei
fenomeni e fra questi l’uomo, in modo
unitario, non disgiunto dalla dimensione
spirituale, ma fondato su di essa, da cui
trae la sua stessa esistenza: un mezzo
complesso e completo per conoscere sé
stessi e tracciare un intimo percorso che
porti l’essere disgiunto e frammentato
alla soglia della vera individualità, alla
dimensione dell’uomo totale. Seguendo
questa traccia, appare chiaro come la
comprensione non debba essere ricercata
sui libri,manasca da un lavoro reale,
poiché occorre penetrare dentro di sé per
fare in modo che il fiore germogli. Gli
Arcani maggiori possono essere studiati
secondo una progressione numerica o,
come ci ricordano Oswald Wirth e lo
stesso Ouspensky, anche seguendo la
legge della corrispondenza, disponendo
le carte a coppie, la prima con l’ultima, la
seconda con la penultima, la terza con la
terzultima e così via.
Gli Arcani maggiori
La carta che reca il numero 1 è il
Bagatto: raffigura un giovane
biondo e di bell’aspetto davanti ad
un tavolo a tre gambe su cui si trovano
una coppa, una spada e un
denaro; in unamano recaunbastone
e sul capo un cappello a forma di
infinito. Questo giovane è colui il
quale può fare, che entra in una via
di perfezione interiore e, consapevolmente,
adopera gli strumenti che
l’Arte riserva al proprio percorso
interiore. Esprime l’io cosciente e la
volontà di chi sa che per giungere al
termine della via occorre volere,
osare, sapere e tacere. Solo un essere
simile potrà ricevere la Luce massonica,
perché potrà guardare oltre il
velo solo colui il quale, nella stessa
vita profana,manifesti quelle qualità
essenziali per incominciare il lavoro
di sgrossamento di sé stesso. Una
volta espresso il proposito di iniziare
il percorso, ci si accosta alla portadel
Tempio custodito dalla Papessa (II):
essa è seduta su un trono, avvolta da
un manto di porpora e ha in testa una
tiara d’oro sormontata dalla luna. In una
mano reca il libro della Gnosi, nell’altra
le due chiavi d’oro e d’argento che indicanoal
ricercatore la necessità di passare
fra le due colonne, una bianca (Jakin) e
l’altra nera (Bohaz). Le due chiavi sono le
forze che eternamente si contrappongono
nell’uomo: positiva e negativa,
l’azione e la reazione. Riuscirà a passare
oltre, però, soltanto chi riconoscerà l’esistenza
di una terza forza, quella neutralizzante,
ovvero la Santaconciliazione fra
gli opposti, indicata da una chiave non
visibile come le prime due: chi sarà in
grado di sperimentare in sé stesso tale
processo avrà imboccato la via per uscire
dalla dualità e giungere all’individualità.
Questo è possibile grazie all’intelligenza
creativa, simboleggiata dall’Imperatrice
(III) che reca in una mano uno scettro e
nell’altra l’aquila del potere. Ella stessa è
alata, sul capo una corona e la testa circondata
da un’aureola con dodici stelle;
un fiore bianco sboccia al suo fianco, per
ricordare che l’intelletto non può crogiolarsi
passivamentenel turbine delle associazioni
mentali che succhiano le energie
vitali, ma attraverso il pensiero attivo, far
risvegliare il lume dell’intuizione e della
conoscenza analogica. Proseguendo per
questa via, dentro di noi prende forma
l’Imperatore (IV): egli è seduto su un
trono cubico, con i piedi ben fissi sul terreno,
in manouno scettroegizioenell’altro
la sfera sormontata dalla croce;
sull’armatura il sole e la luna. Tale corrispondenza
ci ricorda come la via incominci
e termini nello stesso punto. Il
corpo è lo strumento a nostra disposizione
e noi possiamo esserne vittima o
padroni. Colui che impera è seduto sul
quadrato dei quattro elementi e dunque,
conosce la natura materiale, non ne è
schiavo, ma è assiso su di essa, poiché è
il re del mondo e governa la propria
natura fisica consaggezza, senza soggiogarla
e, al contempo, senza subirla. Arriviamo
alla carta del Papa (V): eccolo, con
la sua tunica color porpora e la tiarad’oro
sul capo. Egli è il grande maestro interiore
che alberga dentro colui che cerca
se stesso. Davanti al sommo sacerdote
sono raffigurati due fedeli, che indicano
uno la fede passiva e l’altro l’eterodossia
del dubbio corrosivo. Essi,
però, devono riconoscere la superiore
legge del Papa, poiché bianco e
nero non sono che lati speculari della
totalità e soltanto colui che sta nel
centro è equidistante, non vittima
della cecità del dogma e neppure
figlio della ribellione contro-spirituale,
ma principio equilibratore,
fonte di pace e di silenzio, quel silenzio
interiore cheaccompagna il cammino.
La VI carta dei Tarocchi è
quella dell’Innamorato. Giovane di
bell’aspetto, è attorniato da due
donne: l’una tenta di trascinarlo con
sé verso il vizio; l’altra, dall’aspetto
regale, si limita a poggiare una mano
sulla sua spalla e indica la virtù. Per
diventare un uomo vero, egli dovrà
riconoscere come il proprio scopo
debba essere quello – come dice un
Rituale massonico - di elevare templi
alla virtù e scavare oscure e profonde
prigioni al vizio. Il ricercatore, infatti,
ad un certopuntodel proprio viaggio
interiore, è costretto a fare una scelta: può lasciar perdere, abbandonandosi
ad una vita meccanica in cui non vi
è coscienza né volontà; una vita passiva,
contraddistinta dal vorticoso alternarsi
degli io che albergano in noi, ciascuno dei
quali, mosso per mera reazione agli accadimenti
esterni, in balia degli elementi e
preso dalla frenesia assassina del divenire;
può, al contrario, sentire la propria
nullità e mettersi consapevolmente al
lavoro per tentare una relazione con sé
stesso e riacquistare la dignità che il proprio
scopo comporta. Se persevera, oltrepasserà
le sette porte della sapienza e
potrà salire sul Carro (VII) del trionfo.
Trascinato da due sfingi, una biancaeuna
nera, il Carro è sormontato da un baldacchino
alla cui sommità vi è un cielo stellato:
l’iniziato ha conquistato padronanza
di sé ed ora può trasmettere l’Arte
poiché è maestro venerabile, ma la
volontà e la coscienza non si sono ancora
pienamente fissate in lui e il Carro trionfale
potrà pur sempre essere trascinato
dalle sfingi in questa o in quella direzione
non desiderata. Per questa ragione, è
necessario cristallizzare i risultati fin qui
ottenuti in un centro di gravità permanente,
fino ad udire la voce del padrone
– il sé –, la cui lingua è compresa anche
dal cocchiere, l’intelletto, e consente a
questi di farsi obbedire dalle due sfingi, le
emozioni, per condurre, infine, il carro, il
corpo, nella direzione voluta. Chi cerca
viene privato dalle illusioni e arranca,
poiché non è in grado di vivere sulla terra
senza di esse. Se vi riesce avrà riconosciuto
una legge interiore, poiché avrà
sentito la presenza di un ordine dentro di
sé. Ecco la Giustizia (VIII) che ristabilisce
l’equilibrio. Nel silenzio è possibile sentire
una vibrazione di un altro livello: lontani
dal frastuono e dalla distrazione, occorre
cingersi di un mantello che isoli dal chiasso
dei molteplici io caotici e faccia riscoprire
il gusto per la solitudine. L’iniziato
sarà allora come l’Eremita (IX), il cui
bastone, sul quale si avviluppa il serpente
della mobilità, altro non è se non il Caduceo
ermetico (percorso interiore). Il
manto da cui è coperto ricorda il grembiule
indossato dal Massone per proteggersi
dalle schegge durante il lavoro di
levigazione della Pietra del sé, che da
grezza deve diventare cubica, e corrisponde
al nero mantello del Superiore
Incognito delMartinismo che, ad un certo
livello di comprensione, si isola interiormentedalla
realtà profana, essendo come
i mistici gnostici nel mondo ma non del
mondo. Chi prosegue il proprio cammino
vede come la vita ordinaria sia costellata
dall’alternarsi di entusiasmo e depressione,
esattamente come le stagioni,
contraddistinte da solstizi ed equinozi, in
un eterno ritorno espresso dalla Ruota
della fortuna (X) che, però, è solo l’ombra
del qui ed ora, in cui tutto ciò che accade
è il presente. In esso non vi sono alternanze,
c’è solo l’essere immobile che
vede, allo stesso modo della sfinge
impressa su questa carta, e resta fermo
nella pienezza della raggiunta pace. L’XI
carta è la Forza: con sguardo distaccato,
una donna chiude le fauci di un feroce
leone, senza opporre ad esso un’energia
brutale, ma imponendo il proprio volere
con la dignità di chi conosce bene l’animalità
della bestia. Il corpo, infatti, non
deve essere soggiogato con violenza, ma
addomesticato, poiché non è un nemico,
ma un fedele alleato. Per questo, l’intelletto
deve conoscere il linguaggio del
fisico e delle emozioni, per parlar loro con
autorità ma senza tentare di imporre ciecamente
le proprie decisioni. Soltanto
colui che può sacrificare tutto può fare
tutto: è questo l’insegnamento dell’Appeso
(XII), l’impiccato che indica l’uomo
che ha visto la verità. Per lui, la vera vita
è capovolta rispetto a quella illusoria e
vegetativa della propriameccanicità.
Chi riesce a rinunciarvi
potrà ottenere grandi conquiste.
Solo chi non è più incatenato
alla propria immagine,
alle proprie certezze, alla propria
personalità, potrà riconoscere
in sé l’essenza. Solo chi non
è schiavo può essere libero. Per
rinascere ad una nuova condizione
occorre prima morire. La
Morte (XIII), però, è una conquista
non facile, ma indispensabile
per nascere nudi di fronte
a sé stessi, senza il proprio
fagotto pieno di cose inutili
accumulate nella vita inconsapevole.
La prima operazione
dell’Alchimia è la Nigredo, la
cosiddetta Opera al nero che si
compie soltanto quando la
materia (l’uomo) si decompone,
divenendo nera come la pece:
andando dentro sé stessi, nelle
zone più profonde, quelle più
intime, si potrà morire a questa
vita e, abbandonando il proprio
modo abituale di pensare e di vivere, si
potrà risorgere, come la fenice, dalle
fiamme che bruciano nel forno in cui la
materia grossolana è destinata a trasformarsi
in aurea. Lamorteè, perciò, laprima
meta di un lungo percorso iniziatico,
attraverso il quale, sciogliendo i legacci di
una vita vissuta male, il ricercatore
diviene indulgente con la propria condizione,
rappresentata ora dalla Temperanza
(XIV), grazie alla quale emerge la
virtù, la moderazione e l’equidistanza da
ogni cosa. Essa è raffigurata con due ali
bianche, come angelo rappresenta il
Tempo; sulla sua fronte c’è il cerchio.
Questo è il segno dell’eternità, il segno
della vita. Solo dissolvendo il volatile e volatilizzando il fisso si potrà scorgere il
tesoro che nasce dal metallo volgare. È
l’insegnamento della XV carta, il Diavolo.
Raffigurato con la mostruosa testa di
capro del Baphomet templare, con il
corpo da donna e le ali da pipistrello, tale
simbolo esprime l’esistenza materiale, la
corporeità, la terra madre, la propria fisicità,
che non va rifuggita e distrutta, ma
che è il veicolo per l’evoluzione interiore,
il lasciapassare per il Cielo. Il Diavolo è la
porta per ottenere il Paradiso, perché
l’Iniziato, vivendo appieno il proprio
corpo, sentendolo senza subirlo passivamente,
ne diviene il padrone e può condurlo
dove vuole. Questo è, perciò, uno
strumento prezioso a disposizione degli
esseri umani, che possono farne un uso
fruttuoso o, al contrario, condurlo alla
rovina. Nel primo caso, diverrà la materia
in cui si condensano le energie superiori,
mentre nel secondo, il risultato sarà la
propria autodistruzione e la disperazione.
Chi spera di ottenere risultati senza un
vero lavoro su di sé, primaopoi dovrà fare
i conti con la realtà; le proprie illusorie
pretese conquiste interiori cadranno
come colpite da una saetta, allo stesso
modo della Torre (XVI): non si puòmentire
a sé stessi, perché la natura odia l’inganno
e l’uomo non può sottrarsi alle sue
leggi. Chi sente la necessità di ritrovarsi,
infatti, non può fremere d’impeto, ma
lavora pazientemente, perché lo scopo è
quello di tornare alla propria condizione
primigenia, in armonia con il Raggio di
Creazione, che racchiude in sé le sacre
leggi del cosmo, comprensibili attraverso
le Stelle (XVII). È qui, nel buio, che i
costruttori del Tempio, rimasti orfani,
scorgono un ramo d’acacia, simbolo della
presenza della tomba del maestro Hiram:
dopo la sua uccisione, la Fiamma della
Tradizione sembrava essersi spenta e la
parola perduta; le spoglie del Maestro
finalmente ritrovate indicano che la
catena non si è spezzata e che gli operai
possono nuovamente udire la parola
sacra, riannodando, così, l’invisibile filo
della corda fraterna. La notte, però, è illuminata
da una pallida luce d’argento,
quella della Luna (XVIII), a causa della
quale i colori della realtà sono deformati.
Bisogna dunque rifuggire dalle teorie
erronee e riconoscere che il lavoro su di
sé non è ancora terminato: ci si trova
nella fase alchemica dell’Opera al bianco,
la cosiddetta Albedo, in cui la materia
(l’uomo) è quasi giunta al proprio scopo,
ma non ancora del tutto. Dopo la notte
lunare, il Sole (XIX), comunque, risorge
sempre e la sua aurea luce spazza via i
tetri colori notturni: la Grande Opera si
compie. Ecco la Rubedo, l’Opera al Rosso,
grazie alla quale il fanciullo viene incoronato
Re e il piombo si trasmuta in Oro.
L’essereumano, una volta in preda a forze
contrapposte, ha ora trovato, nell’armonia
dei due, la sua vera natura, in cui
uomo e donna sono Uno. Padre, madre e
figlio (intelletto, emozioni e corpo) parlano
adesso un’unica lingua e attendono
liberi che si compia il Giudizio (XX) finale,
poiché vitaemortenon hanno piùpotere.
La realtà quotidiana assume allora un
nuovo significato. Il Mondo (XXI) appare
così com’è, racchiuso dalla ghirlanda del
tempo ciclico che ritorna all’origine,
contraddistinto dai quattro elementi, ma
non fa più paura, perché il ricercatore ha
sperimentato direttamente la via. Il triangolo
adesso è tracciato dentro di sé,
perché in colui che ha preso coscienza
della propria nullità si è cristallizzata l’influenza
spirituale. Egli ora è parte del
tutto, dell’assoluto ed è come il Matto,
carta che non è indicata da alcunnumero
ed è quindi equivalente allo zero. Lo zero
metafisico è l’Ain Soph della tradizione
ebraica, che è al di là del cosciente e del
razionale, l’assoluto che avvolge il relativo,
antenato degli dei e degli uomini,
oltre il bene e ilmale. La condizione finale
è quella dell’individuo assoluto, colui che
unisce il Divino (arcani maggiori) con la
realtà fenomenica (arcani minori), figlio
del Padre e al tempo stesso madre di questo
mondo, nel quale il tutto è uno e l’uno
è tutto.
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