Tema
Pensare la verità
Alla domanda “possiamo attingere la verità?” almeno
tre scuole filosofiche nel corso della storia del pensiero
occidentale hanno dato risposte contrastanti.
Daniele Bui, Loggia Il Dovere, Lugano
- lo scetticismo, il quale mostrando che
nessuna affermazione resiste al dubbio, nega che noi
possiamo cogliere una qualunque verità (Pirrone)
- il dogmatismo che sostiene l’idea di una
conoscenza umana capace di conoscere l’essere in sé, e
dunque la verità assoluta. (Platone, Cartesio)
- il relativismo il quale sostiene che
ogni conoscenza è necessariamente dipendente dalle facoltà
umane che la costruiscono, e che non si può dunque
raggiungere una verità assoluta, ma solamente una verità
relativa. (kant)
O ra, qualunque sia l’opinione che un
filosofo intenda adottare a proposito della possibilità o meno
di cogliere la verità, la sua risposta sarà condizionata e non
potrà prescindere da un’analisi del significato da attribuire a
questa nozione. Equesto compito è tutt’altro che scontato.
Osservando come la verità è espressa nel linguaggio naturale,
possiamo facilmente constatare che essa viene intesa secondo
accezioni diverse fra loro; prendiamo ad esempio in
considerazione i seguenti enunciati :
- Giuro di dire la verità, tutta la
verità, nient’altro che la verità
- Quello che hai appena detto è vero
- Questo è un vero diamante
Da questi risulta chiaro che il nostro uso
quotidiano dell’espressione “vero” vede coinvolte differenti
categorie concettuali : in particolare, in (a) la verità è un
universale, espressa da un nome astratto ; in (b) è una
proprietà di proposizioni ; in (c) è una proprietà di oggetti
extralinguistici. Sebbene gli esempi (a)-(c) non pretendono di
essere esaustivi delle possibili accezioni in cui viene usata la
verità, sembra tuttavia che essi costituiscano i casi più
rappresentativi. Così come nell’uso comune sono presenti
accezioni differenti della verità, anche nella storia della
filosofia si sono avute teorizzazioni di tale concetto che
rispecchiano le intuizioni presenti nel linguaggio naturale;
semplificando, possiamo individuare almeno due concezioni
fondamentali della verità :
Senso ontologico
(La verità come realtà, autenticità, essere).
“Vero” è ciò che è, è una proprietà dell’essere; il suo opposto
è sia “falso” (ciò che non è) sia “apparente” (ciò che sembra).
Alla filosofia interessa particolarmente l’opposizione
vero/apparente, in quanto avverte come suo compito lo
smascheramento di ciò che appare, di ciò che sembra, di ciò che
è superficiale. Buona parte della filosofia antica fino a
Platone ha inteso la verità nei termini di ciò che è rispetto a
ciò che appare. Anche nel linguaggio comune è frequente questa
accezione del termine come quando diciamo per esempio: “È un
vero amico”, “È un vero Picasso”, “È un vero diamante” nel senso
quindi di autentico. Questo concetto di verità è stato ripetuto
varie volte nella storia della filosofia. Ha un ruolo di primo
piano nel pensiero cristiano, che identifica la verità con Dio
(Io sono la via, la verità, la vita, dice Gesù nel Vangelo di
Giovanni XIV,6). Nella filosofia contemporanea la verità come
rivelazione di essenze, possibile grazie alla messa tra
parentesi (epoché) delle cose del mondo è tipica della
fenomenologia. E anche per Heidegger (1889-1976), che si
richiama al significato ontologico del termine greco aletheia,
verità è disvelamento dell’essere.
Critica: L’analisi filosofica moderna ha
sottolineato le ambiguità e i limiti di questa concezione
ontologica mettendo in evidenza il fatto che la verità è una
proprietà di enunciati o meglio di proposizioni e non tanto di
cose. Possiamo dire sinteticamente che l’analisi filosofica ha
esplicitato l’ambiguità relativa al termine verità in quanto
essa è usata ora in opposizione a falso, ora in opposizione a
finto. La coppia vero/finto si riferisce anche ad oggetti, ma
nell’accezione di autentico, mentre la coppia vero/falso è
legata ad una proprietà del linguaggio e del pensiero che si
suppone rappresenti fedelmente la realtà. In questo senso non si
tratta di una proprietà ontologica, ma di una proprietà
relazionale.
Senso Logico
(La verità come ciò che si dice di entità
linguistiche o mentali). La verità è la proprietà di un
enunciato, quando esso corrisponde ai fatti (concezione
semantica), oppure quando è coerente all’interno di un sistema
dato (concezione sintattica), oppure quando mostra efficacia
pratica (concezione pragmatica)
a)
Concezione semantica: (verità come
corrispondenza)
L’obiezione classica a questo concetto di verità è il famoso
paradosso del mentitore. Quando dico “io mento” mento o dico il
vero ? Se affermo di mentire, sto dicendo la verità? Se sì, sto
mentendo e quindi l’affermazione è falsa; ma se non sto dicendo
la verità, sto mentendo, e quindi sto dicendo la verità. Perciò
la mia affermazione è sia vera sia falsa.
Un’altra obiezione alla concezione
corrispondentista della verità è quella di Frege che scrive: “La
corrispondenza può essere completa solo allorché le cose
corrispondenti coincidono, e non siano pertanto in alcun modo
distinte. Si deve poter provare l’autenticità di un biglietto di
banca applicandolo per sovrapposizione su un biglietto
autentico. Ma tentare di ottenere una sovrapposizione di una
moneta d’oro con un biglietto da venti marchi sarebbe ridicolo.
La sovrapposizione di una cosa con una rappresentazione non
sarebbe possibile che se la cosa fosse essa stessa una
rappresentazione. E se la prima si accorda perfettamente con la
seconda, esse coincidono. Ora è precisamente ciò che non si può
avere se si definisce la verità come un accordo di una
rappresentazione con qualcosa di reale. È essenziale che
l’oggetto reale e la rappresentazione siano differenti.”
(Tradotto a partire da Frege, Ecrits logiques et
philosophiques, Seuil, Paris 1971, p.172)
La corrispondenza è impossibile perché essa
presuppone l’esistenza di una relazione tra due cose differenti,
mentre la relazione si suppone essere di identità.
b)
Concezione sintattica: (verità come coerenza).
Questa concezione della verità incontra due obiezioni
fondamentali: “la prima è che non c’è nessuna ragione di
supporre che sia possibile un solo sistema coerente di credenze
[…] Si sa che spesso due o più ipotesi possono spiegare tutti i
fatti che conosciamo su un dato argomento. […] L’altra obiezione
a questa definizione della verità è che essa si basa sul
significato comunemente noto della parola “coerenza”, mentre, in
realtà, la “coerenza” presuppone che siano validi i principi
logici. “(Russell, I problemi della filosofia, Feltrinelli,
Milano 1988, pp.144-146. )
c) Concezione pragmatica: (verità come
utilità)
Per alcuni versi questa concezione alternativa nasce dalla
domanda che viene rivolta ai sostenitori della teoria della
verità come non-contraddizione: se esistono diversi sistemi,
quali scegliere ? Si risponde: quello più utile, o più efficace,
a seconda del campo di indagine di cui ci si occupa. Per esempio
la geometria euclidea va benissimo per descrivere lo spazio del
mondo in cui viviamo, non funziona più se trattiamo dello spazio
cosmico. Questa definizione di verità si scontra con diverse
obiezioni. Ci sono numerose cose che è utile credere ma che sono
false. E poi quale è il criterio dell’utilità ? Questo sembra
variare da un individuo all’altro, da una comunità all’altra, in
modo che il pragmatismo sembra avere tutta l’aria di un
relativismo. La proposizione “Questa pillola è un eccellente
sonnifero” può funzionare ma non per questo essere vera. Infatti
potrebbe trattarsi di un placebo. In fin dei conti le nostre
credenze non sono vere perché funzionano, ma funzionano perché
sono vere. La miglior spiegazione del loro successo è la verità
; è per questo che non si può spiegare la seconda a partire
dalla prima.
Le teorie deflazioniste
Dal momento che le differenti definizioni di
verità si sono dimostrate problematiche, diversi filosofi hanno
cominciato a pensare che potesse trattarsi di uno
pseudo-problema. È in un tale contesto che sono state proposte
alcune varianti di quelle che vengono comunemente presentate
come teorie deflazioniste della verità. La prima e la più
radicale di tale versioni è quella proposta da Frank Plumpton
Ramsey (1927) e conosciuta col nome d teoria ridondante della
verità. Per quest’ultima la nozione di verità non svolge alcun
ruolo determinante negli usi delle lingue naturali, e gli
enunciati che contengono riferimenti ad essa possono essere
parafrasati in modo sistematico, eliminando del tutto le
occorrenze di parole come “vero”. Ad esempio, un’espressione
come “Cesare fu ucciso è vero” sarà parafrasata da “Cesare fu
ucciso”. Ciò che si può dire è che il termine “vero” non
contribuisce in nulla al senso della frase intera nella quale
figura come predicato. Da questo punto di vista “vero” non
denota una proprietà o una relazione sostanziale che avrebbero
gli enunciati come la corrispondenza o la coerenza, ma un tratto
superficiale : dire che la proposizione p è vera, è
semplicemente asserire p. “Vero” non è un predicato autentico,
denotante una proprietà reale dell’enunciato, ma denota una
certa funzione linguistica o logica, quella di fare
un’asserzione che sarebbe stata altrimenti effettuata enunciando
una frase esprimente p. In breve l’idea di Ramsey è che i
predicati “vero” e “falso” siano ridondanti, nel senso che essi
possano essere eliminati da ogni contesto senza alcuna perdita a
livello semantico. Secondo Rorty dire che un enunciato è vero
significa indirizzargli un una specie di complimento. Nulla di
più. Una concezione così radicale della verità sembra aprire più
problemi di quanti non ne risolva, per cui la maggior parte
degli studiosi sembra oggi recuperare almeno una verità minimale
che permetta di mostrare che il predicato di verità non è
solamente un predicato di asserzione. La parola vero è il segno
dell’esistenza di una norma distinta da quella dell’asserzione.
Quale ? semplicemente quella secondo cui i nostri enunciati
devono corrispondere ai fatti, o rappresentare la realtà.
Le verità scientifiche
Recuperando una tale concezione minimale
della verità è possibile ora ritornare a porsi il problema
iniziale di sapere se possiamo o meno stabilire delle verità, e
in caso di risposta positiva, anche specificare di che natura
sono queste verità. Ebbene se prendiamo in considerazione la
scienza, l’impresa conoscitiva più accreditata, vediamo che
coloro che sostengono la possibilità per essa di raggiungere una
verità anche se solo parziale e relativa si basano
fondamentalmente su due argomenti: 1) La continuità delle teorie
: se le nuove teorie non sono che dei miglioramenti di quelle
che le hanno precedute, allora è probabile che queste teorie
siano approssimativamente vere. In altri termini, il fatto che
gli scienziati arrivino a conservare delle parti di teorie
precedenti nelle nuove teorie aventi un maggior successo mostra
che le teorie precedenti sono approssimativamente vere. 2) La
capacità predittiva delle teorie : la verità, anche solo
approssimativa di una teoria scientifica costituisce la sola
spiegazione possibile della sua efficacia predittiva. Non è
escluso che una teoria possa prevedere per caso delle leggi
sperimentali nuove, comunque, il numero elevato di previsioni
non può essere seriamente attribuito a una pura questione di
fortuna. Una volta esclusa la coincidenza, la sola spiegazione
plausibile della capacità della teoria a generare nuove
previsioni è di ammettere che i suoi principi e le sue ipotesi
sono in grado di descrivere correttamente le strutture e i
processi che governano i fenomeni.
Massoneria e verità
È abbastanza scontato chiedersi a questo
punto quale delle definizioni precedenti di verità è sostenuta
dalla Massoneria. Trovare una risposta a questa domanda non è
tuttavia altrettanto evidente che porsi il quesito. In effetti
nei testi e nei discorsi massonici sono rintracciabili ognuno
dei principali significati evidenziati. A dipendenza dei
contesti nei quali ci si trova il riferimento può essere alla
verità ontologica, alla verità come corrispondenza tra
linguaggio e realtà, a quella come coerenza tra un universo di
enunciati oppure a quella pragmatica che ritiene il successo di
una teoria o di una dottrina la miglior garanzia della sua
verità. Personalmente penso che si possa ricavare qualche
informazione utile sul concetto di verità massonica
soffermandoci più che sulle svariate definizioni o sui
differenti criteri, indagando le modalità di accesso alla
verità. Per il Libero Muratore la ragione scientifica, benché
rappresenti uno strumento fondamentale, non è l’unica via
percorribile per accedere alla verità. Anche l’intuito, l’arte e
soprattutto i riti iniziatici e simbolici costituiscono percorsi
privilegiati che possono svelare la verità. Ma di che verità si
tratta? Non di una verità asettica come quelle della matematica
o delle scienze empiriche, ma piuttosto di una verità che dà un
senso all’esistenza, che consente ai Fratelli di trovare delle
idee per le quali valga la pena vivere, impegnarsi e forse anche
morire. Più che di un sapere rigoroso ed oggettivo si tratta,
come si vede, di un “sapere affettivo”come lo definiva Ferdinand
Alquié, o in altri termini si tratta di quelle verità del cuore
che Pascal opponeva a quelle dimostrative della scienza. Il
pensiero scientifico non ha risposte a tutte le domande che gli
uomini si pongono. I Liberi Muratori si attendono dalla verità
che risponda alle esigenze del nostro essere morale. Come diceva
Kierkegaard “la verità è ciò che in me diventa vita”. Il Massone
non può accontentarsi di verità parziali, temporanee, relative
come quelle scientifiche. Il suo desiderio è di attingere a
verità incontrovertibili, assolute. Il percorso massonico si
presenta appunto come un itinerario spirituale, sperimentato da
secoli e secoli, che permette l’accesso a questo tipo di verità.
Più che di una acquisizione intellettuale, tipica del sapere
profano, è un processo personale interno e continuo che
coinvolge totalmente il proprio essere portandolo ad una
realizzazione incomunicabile con i mezzi ordinari del linguaggio
comune e del linguaggio scientifico. Come non si può spiegare a
un cieco dalla nascita che cosa si prova a vedere, così non si
può spiegare in che cosa consiste la verità massonica a qualcuno
che non è stato iniziato. In fondo il segreto massonico sta
proprio qui. Non si può conoscere la verità cercando di
apprenderla dai libri; è indispensabile sperimentarla
personalmente e più il lavoro nella propria Officina sarà
intenso, serio e coinvolgente e più la percezione della verità
sarà nitida.
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