Dossier
Allegorie della partenza
Il significato letterale del termine «partenza» è piuttosto banale. Il Devoto Oli lo definisce come «La fase iniziale di un moto progressivo di allontanamento associato ad un’idea di destinazione». Tuttavia appena si lascia il piano puramente denotativo o referenziale per passare ad uno connotativo o simbolico la parola acquista una ricchezza concettuale stupefacente.
Daniele Bui
La partenza è un’esperienza universale nella vita di un uomo
in tutte le epoche ed in tutti i paesi. Non è quindi
sorprendente se la cultura di ogni periodo storico e di ogni
regione rifletta tale esperienza, sia dal punto di vista reale
che da quello simbolico. Nel primo caso siamo confrontati a
partenze nel mondo materiale che prevedono itinerari, viaggi,
ricognizioni di luoghi sconosciuti. Nel secondo caso la partenza
diventa simbolo, allegoria di una ricerca di sé stessi, di una
maturazione spirituale e di una realizzazione esistenziale. Il
tema della partenza è un topos che si ritrova in quasi tutti gli
ambiti della cultura. Nella religione, nella leggenda, nel mito,
nella storia, in letteratura, nella psicoanalisi. La cultura
classica, sia greca che romana, è ricca di opere che ruotano
attorno al tema della partenza e del viaggio: basti pensare
all’Odissea di Omero che delinea il paradigma per l’intero
occidente della figura del viaggiatore per antonomasia, Ulisse,
il simbolo dell’andare per mare e per terra in un peregrinare
alla ricerca del significato di una autentica saggezza. La vita
stessa è contrassegnata dalla partenza, sia essa reale o
simbolica. Le partenze dell’emigrato, del soldato, del
pellegrino, del moribondo sono tra le esperienze più
significative e marcanti dell’esistenza di molte persone. Nel
passato, quando un familiare partiva per un paese lontano la
famiglia lo salutava con un pianto di lutto, di addio. Le
fotografie del soldato o dell’emigrato erano poste accanto a
quelle dei morti proprio perché si era persuasi che
ineluttabilmente si stavano avventurando verso un altro mondo,
colmo di incertezze e di pericoli. La partenza era per tutti
distacco, frattura e in ultima analisi morte.
Nella poesia «I mari del sud» di Cesare Pavese, del cugino,
partito a cercar fortuna in Tasmania, si persero le tracce,
tanto che tutti lo credevano morto. Il poeta ricorda che un
inverno giunse una cartolina indirizzata a suo padre, il quale
però era già morto, che recava gli auguri per una buona
vendemmia da parte del cugino scomparso. Fu proprio l’autore,
l’unico ad aver studiato, che interpretò il biglietto augurale,
e che fece sapere ai parenti che proveniva dall’Isola di
Tasmania. I compaesani, dopo aver discusso, conclusero dicendo
che: se non era morto, certamente sarebbe deceduto presto,
perché per loro era inconcepibile si potesse vivere lontano
dalla terra in cui si è nati. Le partenze provocano ansia,
perché il viaggio è comunque un’incognita, una variabile
difficilmente controllabile, nella quale la casualità è un dato
oggettivo, che non si può calcolare e razionalizzare. I Liberi
Muratori operativi erano spesso in partenza. Si sen-
Entrare nella Grande Famiglia è una decisione che
richiede coraggio perché poi indietro non si torna.
tivano cosmopoliti, cittadini del mondo, giravano l’Europa
per lavorare e per istruirsi nella loro arte. Di questi
soggiorni questi Massoni operativi hanno lasciato testimonianze
memorabili. Le loro cronache di viaggio, i loro epistolari e i
loro diari sono oggi per noi documenti preziosi. Comunque anche
le partenze ed i viaggi nel mondo sensibile in ultima analisi
sono l’immagine ed il simbolo di tortuosi percorsi di vita
interiore. In Massoneria il viaggio più importante è quello che
si intraprende nella profondità della coscienza. Quando si è
deciso di entrare nella Grande Famiglia, si è voluto dare una
svolta determinante alla propria vita, si è deciso di voltare
pagina e di iniziare un capitolo nuovo della propria esistenza.
È una decisione che richiede coraggio perché poi indietro non si
torna.
Bruciare le navi
Per far capire lo stato d’animo di chi ha deciso di fare il
passo e di avventurarsi in un’impresa non priva, come tutte le
rinascite, di un doloroso travaglio, mi è sembrato utile
accostare l’esperienza all’espressione «bruciare le navi», ormai
entrata a far parte del linguaggio comune.
Essa si riferisce alla storia di Fernando Cortés, a cui viene
attribuito quel gesto. È una potente metafora per aiutare la
gente ad affrontare con coraggio l’idea del cambiamento, e a
capire che in alcuni casi la cosa migliore da fare è non
voltarsi indietro. Fernando Cortés nacque in Spagna nel 1485.
Lasciò la sua casa all’età di 14 anni per studiare
all’Università di Salamanca, ma sognava di diventare un
conquistador e un esploratore. In età adulta ebbe molte
avventure nei porti di Cadice, Palo e Siviglia, e alla fine si
unì a un altro esploratore che si chiamava Diego Velàsquez.
Insieme decisero di conquistare la città di Tenochtitlan,
capitale degli Aztechi. Cortés, insieme al suo esercito di circa
500 soldati, partì nel 1519 ma, dopo lo sbarco in un villaggio
che battezzò Vera Cruz, non gli ci volle molto per capire che
alcuni dei suoi uomini avrebbero preferito tornare a Cuba invece
di affrontare il resto del viaggio: dovevano superare circa 300
chilometri di giungla e paludi prima di attaccare la
cittàfortezza, che era circondata dall’acqua. Cortés, che si
aspettava un ammutinamento, prese una decisione drastica e
inaspettata: ordinò di bruciare tutte le navi. Non potendo più
tornare indietro, ai soldati rimasero due alternative,
combattere o morire. La spedizione proseguì, combatté contro gli
Aztechi e riuscì a conquistare Tenochtitlàn, più tardi nota col
nome di Città del Messico.Il significato massonico di questa
vicenda potrebbe essere, a mio modo di vedere, il seguente:
quando abbiamo deciso di entrare a far parte della Famiglia
massonica, abbiamo anche noi «bruciato le navi» perché abbiamo
preso una decisione che rompe completamente con il nostro
passato di profani. Anche se decidessimo di dare le dimissioni e
di lasciare la Massoneria, il che è relativamente facile,
resteremmo cionondimeno Massoni perché iniziati. Mi auguro che
il nostro impegno e il nostro entusiasmo siano tali da
assicurarci il coraggio di «bruciare le navi» con la nostra vita
profana e spero che la nostra determinazione ad andare avanti
nella assimilazione, nella difesa e nella propagazione degli
ideali massonici sia comparabile a quella di Cortès nella
conquista di Tenochtitlan.
|
|