Alpina 4/2003

Trattare il tema «Il senso del Rituale» è operazione talmente delicata e di intima personale profondità, che ci si può chiedere: ma ne abbiamo il diritto? perché parlare proprio di ciò che rappresenta la maggiore esperienza esoterica-trascendentale di ogni Massone?

Nel mondo profano, il non iniziato è sovente incline a ritenere ciò che è ritualistico una forma inutile, ma soprattutto superata e vecchia, di parole, simboli e gesti; il tutto privo di senso e di reale utilità. Ma appunto, non è iniziato…, non ha la conoscenza della Tradizione, tradizione che evidentemente confonde o identifica con vecchio, obsoleto. Il Massone per contro, in quanto iniziato, sa, o sta imparando, che solo il Rituale, vissuto e assimilato in tutta la sua saggezza, può fungere da motore per trasmettere le arcaiche ed immutabili conoscenze fino ai giorni nostri, e perpetuarle nei tempi a venire. Il tanto discusso «Segreto massonico» è null’altro che questo: l’individuale crescita spirituale che non è esprimibile in parole e che non è dunque trasmissibile o insegnabile ad altri; non può che essere e rimanere il segreto intimo dell’Iniziato. Nessuno può carpire ad un Massone tale profonda esperienza. Il profano che desidera seriamente, con umiltà e senza egoismo, divenirne partecipe, dovrà inevitabilmente sottostare alle prove iniziatiche del Rituale massonico. Mentre il profano vede nel Rituale soltanto la sua forma esteriore, superficiale, l’Iniziato ne percepisce la sua profondità trascendentale. Potrebbe sembrare facile, ma non lo è. Il Massone è confrontato giornalmente con un’umanità viepiù avida ed egoistica. Si trova, come il ferro tra l’incudine e il martello, a dover lottare tra il sacro e il profano. Nonostante la ragione gli indichi la via e nel suo più intimo abbia già sperimentato qualche successo, la forza per continuare qualche volta manca anche al Massone. Ma sempre si riprende e, ripercorrendo la via del Rituale, riesce di nuovo ad avanzare di qualche passo verso la meta. In merito il Fratello Antonio Panaino (v. articolo più avanti) scrive, tra l’altro: «Onestamente non sempre ciò riesce, ma quando tutto è stato veramente ‘giusto e perfetto’, l’autocoscienza di aver partecipato ad un’esperienza, ove il Rito non è stato vacua ripetizione di gesti e di formule prescritte, ma armonizzazione di una molteplicità di coscienze, segna fortemente l’Iniziato e gli elargisce una nuova profondità capace di aprire, anche in chi pensava di già aver scoperto tutto, nuove possibilità di ricerca interiore».

Vogliamoci sempre bene!

Othmar Dürler

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