I «buoni costumi» ieri e oggi
(Alpina 1/2013)

L e costituzioni di Anderson del 1723 indicano in modo esplicito che uno dei prerequisiti per poter aspirare ad entrare nella grande Famiglia massonica esige che il postulante sia “un uomo libero e di buoni costumi”. Come interpretare, agli albori del XXI° secolo, questa richiesta? Va da sé che per essere un “uomo libero e di buoni costumi” non è sufficiente essere incensurato ed avere il casellario giudiziale incontaminato. La locuzione “uomo di buoni costumi” rappresenta una categoria abbastanza generica, che sembrerebbe lasciare una notevole libertà esegetica ai responsabili della decisione di ammettere o meno un profano nell’Ordine. In effetti ognuno, a dipendenza di un proprio credo religioso, politico e filosofico, può adattare il contenitore “uomo di buoni costumi” alle proprie particolari esigenze. In realtà l’etichetta in questione fa piuttosto riferimento a quelle qualità umane che trascendono gli steccati ideologici. Una persona di “buoni costumi” è un individuo sul quale poter fare affidamento; un uomo serio, responsabile e coscienzioso. Insomma qualcuno su cui poter contare per l’edificazione del Tempio dell’umanità. Il buon genitore, il buon cittadino, rispettoso delle leggi, prudente, discreto, onesto. Dovrebbe essere questa la persona di “buoni costumi” idonea per la Libera Muratoria. Naturalmente nessuno è perfetto e anche il massone non è, né vuol essere, un santo. Ciò che conta, come diceva Kant, è la volontà buona. “ La volontà buona non è tale per ciò che essa fa e ottiene, e neppure per la sua capacità di raggiungere i fini che si propone, ma solo per il volere, cioè in se stessa; considerata in se stessa, dev’essere ritenuta incomparabilmente superiore a tutto ciò che, mediante essa, potrebbe esser fatto in vista di qualsiasi inclinazione o anche, se si vuole, di tutte le inclinazioni insieme. Anche se l’avversità della sorte o i doni avari di una natura matrigna privassero interamente questa volontà del potere di realizzare i propri progetti; anche se il suo maggior sforzo non approdasse a nulla ed essa restasse una pura e semplice buona volontà [...], essa brillerebbe di luce propria come un gioiello, come qualcosa che ha in sé il suo pieno valore.” (Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, in P. Chiodi (a cura di), Scritti morali di Immanuel Kant, U.T.E.T., Torino, 1986, pp. 49-50). E per buona volontà Kant intende una volontà la quale, determinata a compiere ciò che essa sa essere il proprio dovere, nulla tralascia perché esso sia compiuto.

Daniele Bui

<< Nùmero 12/2012 Index Nùmero 2/2013 >>