La morte
(Alpina 11/2013)
Che cos’è la morte? Benché si tratti di un fenomeno naturale ed universale la risposta presenta svariate difficoltà. Già a partire dalla definizione ci sono divergenze. Fino agli anni sessanta la morte era definita a partire dall’arresto respiratorio (il segno dello specchio davanti alla bocca) e dall’arresto del cuore. Nel 1966 l’Accademia di medicina ridefinisce la morte come interruzione del funzionamento cerebrale. Quando il tracciato encefalografico è piatto durante un certo numero di ore si considera che la morte è certa anche se le complesse apparecchiature di rianimazione sono riuscite a mantenere nell’organismo una circolazione e una respirazione artificiale. Sorgono allora i problemi morali attorno alla legittimità o meno di tenere artificialmente in vita un organismo il cui cervello è ormai irrecuperabilmente morto e i problemi dell’accanimento terapeutico. In ogni caso la morte è un tema che riguarda tutti. Sia coloro che credono che sopravvivranno alla morte dei loro corpi, per andare in Paradiso o all’Inferno, o in qualche altro luogo, sia coloro che credono che cesseranno di esistere e che quindi il loro sé si estinguerà quando il corpo si dissolverà. Probabilmente solo per l’uomo, tra gli esseri viventi, si può parlare di una coscienza della morte. L’intensità di questa coscienza sembra inoltre variare da una persona all’altra, come da un’epoca, o una cultura, all’altra. Da una cinquantina d’anni la morte sembra stia diventando un vero e proprio tabu. Il lutto è ormai nascosto. Non si muore quasi più a casa attorniati da familiari ed amici ma all’ospedale tra professionisti sovente freddi e distaccati. Il prima e il dopo la morte è organizzato nei minimi dettagli per dare il minor fastidio possibile ai parenti. Questo atteggiamento è un segno e allo stesso tempo un tentativo di sfuggire all’angoscia che la morte suscita. Per lottare contro quest’ultima l’uomo, nel corso dei secoli, ha intrapreso i più diversi stratagemmi. In Massoneria si pensa che nessuna riflessione autentica può dimenticare la morte od occultarla, tuttavia sarebbe sterile e vano assorbirsi unicamente nella contemplazione della nostra finitezza. Proprio perché siamo finiti e mortali dobbiamo agire perché è solo in questo ambito che riusciamo ad accedere a un mondo dove la morte perde il suo potere. Gli assassini di Hiram Abiff e di Socrate sono senza potere sui principi e i valori che essi comunicavano. Le loro idee, così come le idee per le quali siamo qui tutti noi ad impegnarci, sono e sempre saranno, indistruttibili ed eterne.
Daniele Bui
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