Per parlare del tema dell’iniziazione femminile si deve necessariamente partire da quei miti,  che sono strettamente legati ai riti di iniziazione.

Nel mondo occidentale un esempio è il mito di Demetra (Fig. 1), Dea delle messi e dell’agricoltura, da cui dipendevano sia il ciclo delle stagioni , che quello della vita e della morte, e di sua figlia Kore.

Nel mito Kore viene rapita da Ade, (Fig. 2) dio degli inferi che la porta con sé nel mondo sotterraneo, e la sposa.

La madre, ignara di cosa sia accaduto alla figlia, cade nella disperazione; rinuncia al suo aspetto di Dea e si traveste da vecchia per cercarla. Vaga sulla terra, fino ad arrivare ad Eleusi, una cittadina nei pressi di Atene. Quando scopre la sorte della figlia, Demetra si infuria, riprende il suo aspetto originale  e, da Dea qual è, fa inaridire ogni frutto della terra finchè non riavrà con sè la figlia. Il genere umano allora rischia di morire per inedia.

Figura 1: Piatto corinzio (Recente III) con raffigurazione di Demetra seduta sul trono con fiaccola, spighe d’orzo e steli fruttiferi di papavero da oppio. Museo Nazionale di Atene, n. 5825 -
Figura 1: Piatto corinzio (Recente III) con raffigurazione di Demetra seduta sul trono con fiaccola, spighe d’orzo e steli fruttiferi di papavero da oppio. Museo Nazionale di Atene, n. 5825 -

Zeus, preoccupato per la sorte del genere umano, intercede presso Ade per la liberazione della ragazza. Da notare che Kore è ora chiamata Persefone perché, dopo le nozze, non è più una fanciulla.

 Ade accetta di restituire alla madre la sua sposa  ma, prima del ritorno sulla terra, le fa mangiare alcuni chicchi di melagrana, creando un vincolo che la costringerà a ritornare da lui per 6 mesi all’anno. Questa parte del mito giustifica l’alternarsi delle stagioni: autunno e inverno corrispondono ai 6 mesi trascorsi da Persefone come sposa di Ade; primavera ed estate corrispondono ai 6 mesi trascorsi da Persefone con la madre Demetra.

I misteri Eleusini, istituiti secondo il mito da Demetra stessa, erano riti di iniziazione nei quali, attraverso il superamento di prove fisiche e psicologiche e la drammatizzazione del mito di Demetra e di Kore, i candidati venivano introdotti alla conoscenza della verità, raggiungendo uno stato di serena beatitudine.

Figura 2: “Ratto di Proserpina”  Rembrandt Harmenszoon Van Rijn. 1632, conservato allo  Staatliche Museen di Berlino
Figura 2: “Ratto di Proserpina” Rembrandt Harmenszoon Van Rijn. 1632, conservato allo Staatliche Museen di Berlino

Interpretare questo solamente come metafora del ciclo naturale, con diretto riferimento alla morte e alla rinascita delle piante e della natura stessa, è una spiegazione alquanto semplicistica e riduttiva.

Due differenti interpretazioni sono interessanti:

Nella prima: chi partecipava ai Misteri in quanto ritualmente iniziata/iniziato arrivava ad accettare la morte e al contempo poteva superarla preparandosi ad essa mediante l’acquisizione di qualità superiori. In questo modo, dal punto di vista esoterico, vediamo come un rito, che rifletteva e al contempo era riflesso in un mito, permettesse a donne e uomini di assumere funzioni divine e di vivere sul piano esperienziale una trasformazione nelle dee e negli dei, nelle donne e negli uomini protagonisti del dramma di Kore e Demetra; ma anche di evocare, attraverso la rappresentazione drammatica i temi centrali della vita e della morte; di celebrare il passaggio completo alla maturità, con riferimento anche all’iniziazione sessuale.

La seconda interpretazione parte dalla considerazione dell’esistenza di un fortissimo legame fra la madre Demetra e la figlia Kore, reso esplicito dalla disperazione nella quale cade Demetra alla scomparsa della figlia, tanto da farci pensare che madre e figlia possano essere considerate un tutt’uno, due aspetti della stessa figura: da una parte la Vita, rappresentata da Demetra e dall’altra la Morte, rappresentata da Kore/Persefone.  Da qui, l’insegnamento segreto che veniva impartito nei misteri Eleusini era che la vita e la morte sono strettamente legate, le due facce dell’esistenza; e che la morte deve necessariamente essere accettata anche perchè essa precede la vita, ne è la condizione imprescindibile.

Secondo gli studiosi i riti misterici vennero introdotti in Grecia dall’Egitto, dove analoghi riti si svolgevano nel profondo dei templi, ispirati dal mito di Iside e Osiride. (Fig 3)

Figura 3: Gli Dei Iside e Osiride
Figura 3: Gli Dei Iside e Osiride

Osiride, (qui rappresentato di colore verde cioè il colore della putrefazione che precede necessariamente la rinascita) dio della morte ma anche della fertilità e dell’agricoltura, viene ucciso dal fratello Seth che smembra il suo corpo in 14 pezzi spargendone le parti in tutto il mondo. Iside, moglie e sorella di Osiride, disperata per la morte del proprio sposo, ricerca e ricompone ogni parte del corpo a eccezione del fallo, che non ritrova e che costruirà in legno. Con arti magiche rianima il corpo e infine si pone sopra il proprio sposo e riesce a concepire un figlio, Horus che, divenuto adulto, vendicherà il padre uccidendo Seth. È quindi ancora una volta una Dea che con le sue abilità riesce a far trionfare la vita sulla morte.

Su questo mito si fondava il rituale di morte e rinascita a cui veniva sottoposto il Faraone durante la sua incoronazione. Nonostante la maggior parte dei Faraoni fosse di sesso maschile, le donne non erano escluse da questi riti, come testimonia la figura di Hatschepsoupt, grande regina di estrema saggezza, così spiritualmente avanzata da essere ritenuta la prima ad aver introdotto il concetto di monoteismo, prima dello stesso Akhenaton.

Non abbiamo documentazione storica di donne iniziate ai Misteri; invece la presenza di figure femminili compare nel racconto della vita e opere di Pitagora, (Fig.4)

Figura 4: Pitagora rappresentato da Raffaello Sanzio ne “La scuola di Atene”, affresco conservato ai Musei Vaticani, dipinto fra il 1509 e il 1511 circa. In secondo piano è visibile Hypathia, unica figura femminile rappresentata
Figura 4: Pitagora rappresentato da Raffaello Sanzio ne “La scuola di Atene”, affresco conservato ai Musei Vaticani, dipinto fra il 1509 e il 1511 circa. In secondo piano è visibile Hypathia, unica figura femminile rappresentata

 

Proseguendo nel cammino della storia incontriamo altre figure femminili che brillano per sapienza, intelligenza e integrità morale. Fra queste ricordiamo Maria l’Ebrea, vissuta ad Alessandria nel I° secolo, grande sapiente che prediligeva fra i suoi numerosi interessi la chimica e l’alchimia, si ritiene che venne iniziata in un tempio delfico insieme ad altri alchimisti.  Un altro astro brillante nel firmamento delle donne sapienti era Hypathia, (Fig.4) vissuta  a cavallo fra il IV° e il V° secolo DC, figlia del grande Teone di Alessandria che fu il suo maestro e di cui superò la fama come matematica. Oltre che come grande scienziata e filosofa neo-platonica, viene ricordata per la sua intelligenza razionale, integrità morale e coerenza, che ne causarono poi il linciaggio da parte dei primi cristiani.vissuto nel VI° secolo A.C., unico grande Iniziato della propria epoca ad aver coinvolto le donne nel percorso iniziatico. Nella propria comunità a Crotone istituì una sezione femminile nella quale le donne potevano raggiungere tutti i gradi dell’Iniziazione. Dai frammenti scritti giunti fino a noi e dalle opere di altri autori, come ad esempio Giamblico, il più famoso biografo di Pitagora, possiamo elencare alcune donne appartenute alla scuola pitagorica e quindi certamente Iniziate.  Fra di esse ritroviamo figure secondo alcuni autori annoverate come le sorelle, secondo altri come le figlie, senz’altro tutte allieve di Pitagora: Myia, ritenuta tanto saggia e sapiente che la via dove abitava veniva chiamata “l’Accademia” mentre la sua casa venne trasformata in un tempio a Cerere; Arignote, filosofa lei stessa, di cui ci sono giunti alcuni titoli di opere fra cui una sui Misteri di Demetra intitolata Discorso Sacro;  Damo a cui Pitagora stesso affidò i suoi scritti dietro promessa di non mostrarli mai ai “profani”; Theano di Crotone, indicata come la prima filosofa, di cui sono pervenute alcune lettere e i titoli di scritti, con ogni probabilità contribuì alla formulazione del pensiero pitagorico. Anche se non appartenuta alla scuola pitagorica non si può non citare la Pitonessa di Delfi Themistoclea da cui Pitagora imparò ad apprezzare il contributo femminile agli insegnamenti esoterici.

Balzando al XII° secolo, incontriamo Hildegarda di Bingen, badessa benedettina, grandissima personalità eclettica, oltre ai suoi scritti teologici ci sono giunti libri suoi studi naturalistici, medico-farmaceutici, e opere musicali. Come non immaginare che alcuni concetti presenti nelle sue visioni, pensiamo ad esempio alla rappresentazione dell’uomo come microcosmo, (Fig. 5) conservati durante il medioevo nelle biblioteche monastiche.

Figura 5: “Macrocosmo e Microcosmo”, visione rappresentata nel “Liber Divinorum Operum” di Hildegarda di Bingen
Figura 5: “Macrocosmo e Microcosmo”, visione rappresentata nel “Liber Divinorum Operum” di Hildegarda di Bingen

 

 

Figura 6: Isabella D’Este Gonzaga ritratta da Tiziano nel 1534-1536
Figura 6: Isabella D’Este Gonzaga ritratta da Tiziano nel 1534-1536

 

Arrivando più vicino a noi, nel tempo e nello spazio, troviamo Isabella d’Este Gonzaga, (Fig.6)

Figlia di Ercole I° d’Este e di Eleonora d’Aragona, vissuta a cavallo fra il XV° e il XVI° secolo, fu una delle più autorevoli rappresentanti del Rinascimento italiano. Ricordata per il suo amore per l’arte antica, la letteratura, e per le invenzioni di moda e bellezza; oltre alla sua fede nell’astrologia, documentata dalle lettere che scambiava con Pellegrino Prisciani, astrologo alla Corte Estense, fu la prima donna a ideare uno studiolo nel suo palazzo di Mantova, analogo a quello creato dallo zio Leonello d’Este a Ferrara, piccolo ambiente raccolto e riservato dove l’intellettuale dell’epoca poteva studiare e meditare tranquillo. Isabella lo fece decorare dai grandi artisti del tempo ottenendo una collezione di sette dipinti, ispirati alla filosofia platonica che animava la formazione umanistica di Isabella; si trattava di allegorie che rappresentavano la vittoria delle virtù sui vizi, dell’amore casto su quello carnale, il trionfo dell’armonia (Fig. 7)

Figura 7: “Il Parnaso” dipinto di Andrea Mantegna nel 1497, per lo studiolo di Isabella d’Este, attualmente conservato al Museo del Louvre, Parigi
Figura 7: “Il Parnaso” dipinto di Andrea Mantegna nel 1497, per lo studiolo di Isabella d’Este, attualmente conservato al Museo del Louvre, Parigi

 

Tarquinia Molza, cortigiana degli Este del XVI° secolo, poetessa, musicista e letterata, fu una delle poche donne di cui è nota l’appartenenza attiva ad una delle accademie, nate in gran numero in Italia sull’onda del neo-platonismo rinascimentale, quella degli Innominati di Parma. A questa accademia era legata anche Isabella Pallavicino, fondatrice a sua volta dell’accademia degli Illuminati a Soragna, intrisa di ermetismo, e con lei la poetessa sua protetta Maddalena Campigna.

Va ricordata anche Cristina di Svezia, che abdicò a 28 anni per ritirarsi a Roma e dedicarsi completamente alla propria passione per le varie correnti di pensiero miranti alla sapienza e saggezza: misticismo, ermetismo, alchimia, cabbala, neo-platonismo…sull’alchimia spirituale scrisse: «l’Alchimia è una bella scienza. È l’anatomia della Natura e la vera chiave che apre tutti i tesori. Essa dona la ricchezza, la salute, la gloria e la vera saggezza ai suoi possessori».

Nel secolo XVIII° la Massoneria, confraternita iniziatica con radici molto antiche, inizia la sua vita come istituzione speculativa e non operativa in Inghilterra nel 1723 con le Costituzioni dei Liberi Muratori di James Anderson. L’iniziazione femminile, con l’articolo 3 delle Costituzioni Massoniche, che riserva ai soli uomini nati liberi e di buoni costumi l’ammissione alle Logge diventa il problema dei problemi.

Nonostante questa premessa, alcune donne riuscirono ad aver accesso all’Iniziazione massonica. La prima fu Elisabeth Aldworth che entrò in contatto con la Massoneria perché le riunioni della Loggia n° 150 della Gran Loggia d’Irlanda, a cui apparteneva il padre, si tenevano nella sua casa, ed Elisabeth seguiva di nascosto i lavori in una stanza adiacente, attraverso un foro del muro. I Massoni la scoprirono e quindi decisero di ammetterla nella Loggia per assoggettarla al giuramento di non rivelare a nessuno quello che aveva potuto vedere. Sembra che anche lei sia stata  tra i firmatari dell’ Irish Book of Constitutions del 1744. Morì nel 1773 ed ebbe l’onore di una sepoltura massonica.

Le prime tracce rilevanti di una Muratoria con la presenza di donne appartengono al decennio 1730 – 40 in Francia, mentre documenti più consistenti appaiono solo dopo il 1760 a Parigi, e sono relativi alle Logge di Adozione. Le Logge di Adozione erano uno spazio creato dai Massoni dove le donne potevano partecipare a riunioni differenti e separate da quelle della loggia maschile. I riti della massoneria femminile, in questo caso, erano misti tra maschi e femmine, le donne non potevano lavorare da sole o creare logge solo femminili.

Anche in Italia nell’800 nacquero le Logge di Adozione, analoghe a quelle francesi. Le donne di queste Logge presero parte attiva alla storia per l’unità d’Italia e alle lotte risorgimentali; pochi nomi bastino per tutte: Cristina Trivulzio di Belgioioso, Enrichetta Caracciolo, Jessie White Mario. Il Risorgimento vede Giuseppe Garibaldi, nominato dall’Assemblea Costituente a Firenze Gran Maestro dell’Ordine il 23 maggio 1864, appoggiare in modo incondizionato la presenza delle donne in Massoneria.

Ma è soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale, che la Massoneria Femminile riprende la propria attività, quando nel 1953 in Francia nasce la “Gran Loggia  Femminile di Francia”, a cui ne seguirono altre in tutta Europa e nel mondo intero.

Oggi, l’unica Obbedienza massonica italiana esclusivamente femminile e regolarmente riconosciuta è La GRAN LOGGIA MASSONICA FEMMINILE D’ITALIA; costituita nel 1990 a Roma, ha ricevuto a Parigi il 5 Maggio 1991 (delibera del 2 Marzo 1991) dalla Gran Loggia Femminile di Francia la patente per lavorare regolarmente ai tre gradi del Rito Scozzese Antico ed Accettato, in sostituzione della patente consegnata il 24 maggio 1980 alla Gran Loggia Tradizionale Femminile d’Italia, dalla quale la Gran Loggia Massonica Femminile d’Italia discende continuandone l’opera. Lavora con statuto e regolamenti riconosciuti a livello internazionale; è retta da un Consiglio Federale democraticamente eletto e al cui vertice è la Gran Maestra.

Una curiosità: legata alla Massoneria nei primi anni del ‘900 in Italia fu Maria Montessori, prima donna a laurearsi in medicina in Italia, di lei è noto in tutto il mondo il metodo innovativo di educazione dei bambini. Nel 1914 tenne il suo primo discorso sul suo metodo negli Stati Uniti d’America nel Tempio Massonico di Washington

Le obiezioni all’Iniziazione femminile in Massoneria non hanno niente a che fare con l’uguaglianza su basi sociali; il tratto fondamentale è la diversità, fisica e spirituale, delle qualificazioni. Le due qualificazioni sono opposte e complementari, necessarie l’una all’altra come descritto nel mito dell’Androgino, che Platone fa narrare ad Aristofane nel Simposio. Il mito racconta che un tempo gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non v’era prevaricazione tra i sessi. Vi erano tre sessi: il maschile, il femminile e l’androgino che aveva caratteri sessuali sia maschili che femminili, tutti gli esseri umani avevano 4 braccia e 4 gambe, una testa con due facce. L’umanità a un certo punto peccò di alterigia e tentò la scalata all’Olimpo e Zeus, per punire gli uomini, li spaccò in due: così l’androgino si vide spezzato nelle due metà maschile e femminile. Da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale torna all’antica perfezione.

A questo punto, richiamate alla mente il pittorico più famoso al mondo: la Gioconda, (Fig. 8)

Figura 8: “La Gioconda” dipinto da Leonardo da Vinci nel 1503-1506, attualmente conservato al Museo del Louvre, Parigi
Figura 8: “La Gioconda” dipinto da Leonardo da Vinci nel 1503-1506, attualmente conservato al Museo del Louvre, Parigi

dove il genio sembra essersi ispirato appunto alla fusione dell’esteriore maschile e femminile, espressione del congiungimento delle qualità interiori.

Figura 9: “L’Allegoria della Geometria” dipinto da Laurent de La Hyre nel 1649
Figura 9: “L’Allegoria della Geometria” dipinto da Laurent de La Hyre nel 1649

 

E similmente l’immagine rappresentata sulla locandina della nostra tavola rotonda che rappresenta l’Allegoria della Geometria dipinta da Laurent de La Hyre, (Fig.9) presenta fattezze che a un primo sguardo potrebbero sembrare squisitamente femminili, ma in realtà ad una osservazione più attenta appaiono anche maschili; e la presenza di simboli inequivocabili sul dipinto, come le piramidi, la sfinge e il serpente attorcigliato sopra il globo terrestre, che richiama l’immagine del serpente Uroboro, così come il filo a piombo, la squadra e il compasso, ci comunica che l’essere veramente sapiente, iniziato alla conoscenza delle leggi dell’universo, compendia in sé, attraverso il superamento della contrapposizione fra le diversità, le qualità sia del maschile che del femminile.