Tema
Conosci te stesso:
Una diversa interpretazione
del mito di Narciso
Affrontare, ancora una volta, il significato
dell’esortazione che campeggiava
sul timpano del Tempio di Apollo a Delfi
- conosci te stesso - non costituisce certamente
una facile impresa. Molte
pagine sono state scritte sul tema, a
dimostrazione di quanto importante
esso sia non soltanto nella Tradizione
Iniziatica, ma in tutte quelle discipline
che impongono all’Essere un’approfondita
analisi di se stesso ed una coraggiosa
decisione di “guardarsi dentro”
nell’intento di raggiungere lo stato di
Autocoscienza.
V.M.i.C. , AlbertoGiuffrida, LoggiaVeritas,
Locarno (Revista massonica svizzera gennaio 2011)
N on intendo pertanto riproporre
argomenti che rischierebbero di
scadere nella banalitàonel “déjà vu”, preferendo
lasciare fluire un pensiero libero,
senza dover forzatamente ricorrere a
dotte citazioni, basandomi solo su quanto
la Coscienza chiede di fare emergere in un
momento preciso del mio percorso massonico.
Il mito di Narciso
Secondo la versione di Ovidio, Narciso fu
meravigliosamente bello. Consultato il
mago Tiresia, la madre Liriope apprese da
questi cheNarciso sarebbe vissuto finché
non si fosse conosciuto. Quando un
giorno, passeggiando per i boschi e per i
monti - appassionato di caccia come egli
era - conobbe la ninfa Eco, questa si innamorò
di lui perdutamente; ma lui rifiutò
il suo amore e lei venne ridotta ad un’ombra
che, a partire da quel momento, della
bella ninfa conservava ormai solo la voce.
Per vendicare Eco, la terribile Nemesi condusse
Narciso sulle sponde di una fonte
dalle limpidissime acque, affinché egli
potesse specchiarsi e in tal modo permettere
di compiersi la predizione del mago
Tiresia. Fu così che Narciso, che fin lì non
si era mai veduto, specchiandosi nell’acqua,
non riuscì più a staccarsi dall’immagine
della sua bellezza e morì di conseguenza
al più ridicolo ed inutile amore,
ovvero quello – spesso devastante - che
si nutre per se stessi.
Il mito di Narciso, da qualche tempo, mi
fa riflettere ed occupa i miei pensieri.
Soprattutto, mi fa pensare alle sue intime
connessioni con il tema proposto dalla
GLSA citato nel titolo. Ho forzato la mia
memoria nel ricordare un’interpretazione
della leggenda possibilmente diversa da
quella che siamo stati abituati a conoscere
attraverso gli scritti della teoria psicoanalitica
e,apartiredaquesta, da un’infinità
di affermazioni che non mi sentivo
di condividere pienamente già all’epoca
dei miei studi. Né – tantomeno–più tardi,
quando ebbi l’onore di essere iniziato alla
Massoneria.
Il narcisismo
La psicologia classica, in effetti, ha accollato
tale leggenda ad una fase dello sviluppo
del bambinoe, successivamente, ad
uno stato psicopatologico o ad un disturbo
della personalità – il narcisismo,
appunto – definendolo come il “ripiegamento
della libido su se stesso”, condizione
che impedirebbe l’instaurarsi di
relazioni oggettuali verso l’esterno,
ponendo così l’essere in una sorta di condizione
auto-erotica che lo renderebbe
soggetto e, al tempo stesso, oggetto,
escludendo pertanto la possibilità di relazionarsi
con l’Altro e, inultima analisi, con
il “diverso”.
Forse, senza voler entrare nei dettagli
della psicologia del profondo, la condizione
che unifica il soggetto con l’oggetto
corrisponde più semplicemente ad un
meccanismo difensivo messo in atto da
chi ha timore dell’amore e, in particolare,
di colui il quale evita l’amore per paura
di essere tradito dall’Altro, non lasciando
aquest’ultimo quegli spazi che - una volta
aperti - sarebbero vissuti
come una lacerazione, una
ferita incolmabile, se non
addirittura come la perdita
del Sé e, con essa, la perdita
della propria presunta identità.
Narciso, quindi e secondo le
interpretazioni più accreditate,
muore per eccessivo e
devastante amore verso se
stesso, a causa di una sorta
di auto-contemplazione che
non lascia via di scampo, soprattutto nella
condizione mentale in cui la visione della
propria “bellezza” si limita al dato esteriore
ed alla forma, ma non alla “sostanza”
su cui essa si fonda e si costituisce.
Il mito, insomma, ci insegna (o crede di
insegnarci) che un amore cieco e smisurato
rivolto verso se stessi può essere una
scelta dannosa e, irrimediabilmente, conduce
alla morte ed all’annichilimento del
soggetto. Questa interpretazione, però,
sembrerebbe essere poco aderente al
tema qui in discussione in quanto apparentemente
opposta al vettore chemuove
l’Essere umano verso la conoscenza di se stesso, nel costante tentativo di migliorarsi.
Questa, perlomeno, vorrebbe essere
la tesi che definisce in Massoneria la
distinzione tra mondo profano e mondo
iniziatico. Vi è però una seconda interpretazione,
molto meno riduttiva e funzionale
di quella brevemente appena esposta.
Se non altro, si tratta certamente di
un’interpretazione più aderente al tema
qui posto in questione, soprattutto se
considerato nell’ottica del percorso iniziatico
offerto dalla Massoneria e dal
Metodo introspettivo che la caratterizza.
Un’altra interpretazione
Si può pensare che Narciso - oltre che
superbamente bello - fosse anche dotato
di qualità quali la sensibilità e l’intelligenza.
Era infatti figlio di un Dio e di una
Ninfa. Se così fosse, giunto alla limpida
fonte, egli non si sarebbe ‘semplicemente’
specchiato nell’acqua alla ricerca di una
cieca auto-contemplazione,masi sarebbe
forseposto una domanda chemodificherebbe
(e di molto) le interpretazioni e l’utilizzo
(il più delle volte funzionali alla teoria)
che vengono spesso date alla leggenda
che trae origine dalla sua vicenda.
Narciso che – non dimentichiamolo – era
sì figlio della Ninfa Litriope, ma anche di
Cefiso, Dio fluviale, aveva molto a che
vedere con l’elemento acquatico del
quale la sua storia personale era pervasa,
probabilmente e apparentemente a sua
stessa insaputa. Forse, allora, non si é trattato
di un semplice ‘specchiarsi nell’acqua’,
avvolto come egli era in uno stato
di torpore ed in assenza di facoltà superiori
quali la riflessione e l’intelligenza
sensibile, ma piuttosto di un’inarrestabile
pulsione ad investigareunmondo–quello
acquatico – da cui proveniva, sia per nascita
che per tradizione, e che gli sembrava
di non “conoscere” più o che, forse, riteneva
di aver perso, essendone al tempo
stesso ignaro depositario e testimone.
L’atto compiuto da Narciso (dal greco
Narké, torpore), anche se avvolto – come
detto- da una sorta di sospensione attonita
ed ingenua delle facoltà superiori,
potrebbe essere letto, al contrario, nel
senso di un vettore che spinge l’Essere ad
andare al di là delle apparenze, alla scoperta
delle proprie origini ancestrali,
direttamente rivolto al centro di se stesso,
in un movimento di autoanalisi che conferirebbe
allo stato di torpore (o addormentamento)
– di per sé passivo - una
caratteristica più consona, ad esempio,
all’atto meditativo ed alla sacralità iniziatica
rappresentato dal costante movimento
dell’elemento-acqua, ovvero in
uno stato che vede l’Essere partecipare
attivamente al suo stesso risveglio ed
esserne, in qualche modo, protagonista.
In questo senso, il mito di Narciso
potrebbe assumere risvolti sensibilmente
diversi da quanto siamo fin qui stati abituati
a credere. Mentre la prima interpretazione,
infatti, sembrerebbe conferire un
carattere mistico alla leggenda (Narciso
nello stato di torpore), nella seconda versione,
la stessa assumerebbe una valenza
profondamente iniziatica, pertanto attiva
e partecipe del Soggetto, dove i concetti
di “bellezza” e “morte” assumono connotazioni
molto diverse da ciò che generalmente
si é abituati a pensare.
In questa seconda interpretazione, la Bellezza
scoperta da Narciso, in fondo, non
ha più nulla a che fare con la bellezza
legata alla forma, alla staticità, alle apparenze,
all’orpello che decora il ben più
importante soffio della nostra anima.
Narciso, specchiandosi nell’acqua e intuendo
l’impossibilità di quell’amore, scopre
in tal senso una Bellezza leggera, a-corporea,
una sorta di estasi determinata
dalla scoperta di territori fantastici ed
inesplorati, dove i fattori tempo, causalità
espazio vengono annientati da una totale
fusione tra l’Essere e la Natura, in un
momentodi estasiedi puramagia; un territorio
dove la forma cede il passo alla
Sostanza e, per lo stesso motivo, dove l’Io
dell’autoaffermazione di freudiana
memoria diventa, come se fosse un
incanto, la consapevolezza del Sé.
La morte iniziatica
La Morte, affrontata non supinamentema
coraggiosamente da Narciso, diventa
allora una morte iniziatica, segnata da un
profondo desiderio di trasformazione,
contraddistinta dall’impulso a ritornare
alle cose semplici, all’essenza,
alla sostanza delle
cose, all’amore per il Vero.
La morte consiste allora in
uno stato psichico permanente,
un ritorno a luoghi
conosciuti, dimenticati,
perduti, riscoperti e, nuovamente
conosciuti; un
ritorno all’origine ed al
mistero della vita, dunque!
Unmovimentodel Soggetto
che, rivolto al centro di se
stesso, tende ad eliminare
tutto quanto di inutile e di
superfluo offre un modo
superficiale di condurre la
vita, decide coraggiosamente
di “guardarsi dentro”,
per scoprire di appartenere
alla stessa Sostanza
che accomuna tutti gli
Uomini sulla terra, alla stessa nuvola di
energia, vivendo così il senso dell’appartenenza
cosmica all’Altro.
Questo concetto dimorte, ovvero lamorte
iniziatica, in altri termini, rappresenta la
fonte e l’origine del sentimento di fratellanza,
l’unità che contraddistingue l’Ordine
Iniziatico e ne costituisce l’obiettivo
primordiale: siamo tutti in uno. Non vi è
piùquindi differenza tra l’uno e l’Altro, ma
viene costituita una nuova unità composta da molteplici manifestazioni della
stessa sostanza. L’Io dell’autoaffermazione,
nella morte iniziatica, diventa così
il NOI della fratellanza e dell’Amore universale.
Come poter ferire, in una tale concezione,
un Fratello ovvero colui il quale rappresenta
e costituisce una parte de te stesso?
Il torpore da cui sembrerebbe essere
avvolto Narciso nella prima versione della
leggenda, diverrebbe, allora, una modalità
- se non addirittura il Metodo - che permette
all’Essere di analizzarsi fino in
fondo, di andare dentro se stesso, di avere
il coraggio di sopprimere quelle fonti di
piacere illusorio che, costituite esclusivamente
dall’abbaglio del soddisfacimento
delle pulsioni immediate, altro non sarebbero
se non lamodalità della nostra stessa
fine iniziatica.
Conoscere se stesso, a corti discorsi, è un
imperativo che ammonisce gli Uomini
dotati di coraggio iniziatico ad andare
dentro lo specchio d’acqua, ovvero all’interno
della propria storiapersonale ed alla
scoperta del centro del proprio Sé. Significa
anche andare dentro tutti quei contenuti,
persinoquelli più inaccettabili, che
sono parte di noi, che ognuno di noi possiede
silenziosamente e che creano – al
nostro interno – alcune zone d’ombra che
persino noi stessi siamo spesso portati a
rifiutare. Zone d’ombra che rifiutiamo in
quanto elemento costitutivo di una parte
di noi stessi ma che talvolta e per mille
motivi attribuiamo ad altri. Zone d’ombra
che spesso corrispondono ad un’identificazione
massiccia con gli occhi e con le
percezioni dell’ “altro” punitivo, della
legge dei forti e dellamorale vigente. Zone
d’ombra che spingono inconsciamente a
creare percezioni che condannano “ciò
che noi stessi siamo”ma che, per metterci
al riparo, siamo portati a proiettare su
altri.
Forse, come ci indica la leggenda di Narciso,
la comunità degli iniziati sarà tale
quando, un bel giorno, saremo in grado di
superare la nostra dualità per ammettere
che non solo “siamo questo”, ma “siamo
anchequello”, ovvero il nostroesatto contrario,
quello chemeno ci piace, quello che
noi stessi siamo portati a negare ma che,
molto spesso, ci pare giusto condannare nell’Altro in determinati momenti della
nostra vita su questa terra per credere e
sperare nella salvezza delle nostre anime
oper incrementare il nostro sensodi autoaffermazione.
Narciso - così come Lazzaro - sono immagini
che ci insegnano quanto importante
sia dedicare con coraggio e fermezza la
nostra vita alle cose importanti; “cose” per
le quali è davvero fondamentale saper
decidere, scegliere, recidere, tagliare,
cambiare.
Narciso non muore, quindi, ma decide di
scoprire se stesso affogando simbolicamente
nell’immagine di una bellezza formale
che gli veniva attribuita; anche Lazzaro,
dal canto suo, non morì, ma venne
semmaiglorificato per il suorisveglio ( “chi
crede in me, anche se muore, vivrà…scioglietelo
e lasciatelo andare”, Giovanni, 11,
- 45). Lazzaro, così come Narciso, sono
esempi di Uomini che hanno compiuto un
atto fondamentale, ovvero quello dell’Iniziazione,
promettendo solennemente di
migliorare se stessi ed adoperarsi per l’edificazione
di un mondo migliore, un mondo
votato all’edificazione dell’Essere più che
a quello, infinitamente più semplice,
dell’Avere.
La via del “conosci te stesso”
Due immagini, queste, che indicano la via
del “Conosci te stesso”, motto del quale
purtroppo se ne fa largo uso ed abuso.
Motto la cui semplice recitazione – se non
se ne intuisce il senso profondo – è fin
troppo facile da riprodursi. La conoscenza
di Se stessi, in altri termini, è un concetto
chemal si concilia con speculazioni di tipo dottrinale in quanto tale “modalità di
vivere la vita” costituisce un percorso che
va affrontato con coraggio, scrupolosità e
la necessaria predisposizione alla sofferenza.
Che cosa significa, in realtà, “conosci te
stesso”? E sufficiente pronunciare e ripetere
tali parole per esserne davvero attori
partecipi e consapevoli? Oppure è fondamentale
ed imprescindibile percorrere un
camminoo–meglio–unmetodo che, per
quanto difficile possa apparire, permetta
sempre di verificare lostato dei nostri progressi
e le eventuali tentazioni che ci discostano
da esso?
Affinché la frase scolpita nel timpano del
tempio di Apollo-dasempre sposata dalla
massoneria come epitaffio insostituibile -
non resti lettera morta e si presti ad un
suo impiego tanto dottrinale quanto
superfluo, è imprescindibile che ogni fratello
massone capisca, sin dalla sua Iniziazione
(e ancora prima, al momento della
sua domanda di ammissione) che l’Ordine
al quale apparteniamo non può più permettersi
– vista la pressione esercitata dal
mondo profano e le disparità che esso ci
propone – di tradire l’essenza di tale contenuto:
ogni fratello massone è posto
nella condizione di avere il coraggio di
affrontarsi e, per quella via, di essere in
grado – oggi più di ieri – di abbandonare
tutta una seriedi orpelli (denaro, prestigio,
potere esercitato, aspre critiche ecc. ) che,
forzatamente, debbono restare al di fuori
del Tempio e della Fratellanza universale.
Altrettanto, ogni fratello consapevole di
tale lavoro interiore, deve saper condurre
un’analisi di se stesso aperta, leale e sincera,
ammettendo di essere non “solo
questo”, bensì anche “ciò chepiace meno”
ma che risulta più difficile da accettare.
Solo operando in questo modo ovvero
gettando luce su quelle zone d’ombra che
costituiscono fastidiose fonti di contraddizioni
all’interno di noi stessi, potremo
accedere alla porta dell’Autocoscienza
come iniziati.
Conosci te stesso: questa, e non un’altra,
è la condizione essenziale affinché la
massoneria continui ad esistere ed a svolgere
il suo ruolo propulsore nell’opera di
edificazione di un’immagine migliore del
mondo e per il bene dell’Umanità.
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